I ceri di Empoli e Pontorme a San Giovanni
di Emilio Mancini
da «Miscellanea Storica della Valdelsa», L (1942), 148, pp. 109-112
Il 24 giugno, giorno celebrativo della natività di San Giovanni Battista, la Signoria della Repubblica di Firenze riceveva l’omaggio e i tributi delle città e delle terre dipendenti. La festa religiosa del Santo Patrono assumeva il carattere di avvenimento politico e civile, nel quale la gloriosa Repubblica dal rosso giglio appariva nell’aspetto più magnifico della sua potenza e del suo fasto.
Fino dal 1084 i fiorentini, mediante i patti delle capitolazioni, obbligavano i vinti a tributare, in segno di soggezione, annue offerte alla chiesa di San Giovanni. Così Montecatini dovette offrire ogni anno per la festa del Santo Precursore un ricco cero con la figura del castello; ed eguale obbligo s’impose ai castelli di Fucecchio, Castelfranco e Santa Croce sull’Arno. I Certaldesi nel 1198 promisero di pagare due libbre d’argento, oltre ad offrire a San Giovanni il cero di rito (1)
Il 3 febraio dell’anno 1182, come si legge nei Documenti dell’antica costituzione del Comune di Firenze, raccolti da Pietro Santini (2), gli uomini di Empoli, con atto rogato nel palazzo pubblico di Firenze, s’indussero, non si sa bene se costretti o persuasi, a giurare sottomissione e fedeltà alla Repubblica :
« Nos de Impoli et eius curte, qui sumus de comitatu fiorentino et episcopatu seu de pleberio de Impoli, iuramus ad Evangelia, sacramento corporalite, prestito, salvare et custodire defendere et adiuvare omnes personas et civilatis fiorentiae eiusque burgorum et suburgorum et generaliter et specialiler et eorum bona in tota nostra fortia….»
Il Giglioli, nei cenni storici premessi al suo studio su Empoli artistica (3), suppone che, non essendo stati gli Empolesi vinti con le armi, « oltre alla naturale tendenza di collegarsi al più forte tra molti vicini contendenti tra loro, qualche valore possa darsi, come ragione determinante, al fatto che nel 1180 e 1181 una paurosa carestia aveva desolato il paese e forse Empoli aveva accettato l’onere di porsi sotto la dipendenza dei Fiorentini per averne soccorso ».
La Lega Empolese, in certo modo, continuava a sussistere, tanto che a reggere le riunite Comunità di Empoli, Pontorme e Monterappoli la Repubblica inviava un solo Vicario, che poi cambiò in Podestà. Solo sull’antica divisa di libero Comune — la facciata della romanica Pieve — si aggiunsero un leone rampante, il Marzocco e due gigli, simboli della Dominante guelfa. Quasi un riverbero dell’antica Lega, il Sigillum Ligae si riflette ancora nello stemma della città di Empoli (4).
Nonostante la carestia e le discordie intestine, Firenze estendeva il suo dominio, snidando dalle loro rocche merlate i signori che angariavano il contado. Così guerreggiando contro i conti Alberti di Capraia, strappava a quella potente casata ghibellina Pontorme (5) e poco dopo Empoli, a cui imponeva obblighi superiori, segno che dei due castelli del Valdarno inferiore, vicinissimi, infeudati a due famiglie diverse e rivali, già a quel tempo Empoli aveva acquistato maggior importanza.
Gli Empolesi, assoggettandosi, s’impegnavano a prestar servizio nell’esercito fiorentino contro chicchessia, fuorché contro Guido Guerra (excefto contro comitem Guidonem) che, allora al seguito di Federigo Barbarossa, godeva in Empoli antichi diritti di giuspatronato. Era questi Guido Guerra II, nato dal primo Guido Guerra, figlio adottivo della gran contessa Matilde, e dalla contessa Emilia (Imilia comitissa), fondatrice, insieme col suo consorte, nel dicembre del 1119, di Empoli nuovo, come attesta la carta dell’Archivio Capitolare di Empoli pubblicata dall’abate Giovanni Lami nella prefazione al suo Hodoeporicon (6).
Dovettero inoltre gli Empolesi obbligarsi a versare per la festa di San Giovanni 50 libbre d’argento e a portare al Battistero, in atto di sudditanza, un grosso cero. Ma nel primo anno pagavano cento libbre e cento soldi di argento.
Ed il tributo annuo stabilito dovevano consegnarlo ai consoli o ai rettori o al rettore, secondo l’ordinamento dello stato, o, in mancanza di tali autorità, ai consoli dei mercanti, affinchè lo ricevessero per il Comune di Firenze, come depositari. E ciò, dice il Davidsohn, per assicurare in ogni evenienza « la continuità del tributo ed impedire qualsiasi pretesto per un’eventuale sospensione del pagamento » (7).
E quanto al cero — come “testimonia l’atto di sottomissione e come ricorda Scipione Ammirato (8) — esso doveva essere migliore di quello che già portavano i Pontormesi, quando questi erano vassalli dei conti Guido Borgognone e Rodolfo degli Alberti di Capraia, signori anche di Cortenuova (9).
« …. omni anno portabimus florentiae in lesto Sanctis Johannis et offerebimus eidem ecclesie Sancii Johannis de florentia unum meliorem cereum quam illud quod Ponturmenses ibi offerunt et soliti sunt offerre ».
Ed il cero più grosso degli Empolesi evidentemente significava la sia pur lieve superiorità del loro castello rispetto a quello, più antico, di Pontormo.
E che cosa erano questi ceri? Ce lo dice il Dati nella sua cronaca pubblicata da Gino Capponi :
« Sono intorno alla gran piazza [della Signoria] cento torri, che paiono d’oro, portate quali con carrette, e quali con portatori, che si chiamano ceri, fatti di legname, di carta e di cera con oro e con colori e con figure. rilevate, voti dentro, e dentro vi stanno uomini, che fanno volgere di continovo e girare intorno quelle figure….
I ceri soprascritti, che paiono torri d’oro, sono i censi delle terre più antiche de’ fiorentini e così per ordine di degnità vanno l’uno drieto all’altro a offerere a San Giovanni, e poi l’altro dì sono appiccati intorno alla chiesa dentro, e stanno tutto l’anno così infino all’altra festa, e poi se ne spiccano i vecchi » (10).
Il Manni afferma che questi ceri erano talvolta di cera da ardere, talvolta di cartapesta dipinti, ed erano collocati sopra castelli o torrette, che per lo più riproducevano la forma dei luoghi che mandavano il censo. Oltre che di ceri, si parla anche di carri processionanti, come quello ancora superstite di cui è famoso lo « scoppio » nel giorno del Sabato Santo.
Il carro detto della Zecca è ricordato come il più trionfale di tutti. Essendo esso caduto davanti alla porta dei Priori, fu costruito,di nuovo con ornati e pitture rappresentanti i fatti più notevoli della vita del Battista, per mano di Jacopo Carrucci, il nostro Pontormo. Altri ve n’erano dipinti da Andrea Del Sarto, il pittore senza errori.
Felici tempi, almeno per l’arte, quelli, in cui a lavori così umili e caduchi venivan chiamati pittori di sì alto valore.
Note
(1) G.A. [Giuseppe Albizzi], Le feste di S. Giovanni in Firenze antiche e moderne, Firenze, Tip. Dell’Arte della Stampa, 1877, p. 5.
(2) Firenze, Cellini &C., 1895, p. 17.
(3) Firenze, F. Lumachi, 1906, pp. 13-14.
(4) D. M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi dei secoli bassi, Firenze, 1742-4, tomi X e XV. Egli riferisce che, secondo taluni, nell’arme del Comune di Empoli, prima della facciata della chiesa plebana, fossero « alcuni scacchi con entrovi piccole stellette », e di ciò avrebbe scritto un erudito e matematico empolese del Seicento, Polidoro Polidori, e che moltissime notizie spettanti a Empoli rintracciate avea » (t. X, c. 90).
(5) P. Santini, op. cit., p. 873 nota.
(6) Oltre che nelle notizie storiche raccolte dall’arciprete Luigi Lazzeri, si parla di questo strumento di fondazione dal proposto G. Bucchi, nella Guida di Empoli illustrata, Firenze, 1916, p. 3, e nell’articolo Nell’ottavo centenario della fondazione di Empoli, pubblicato nel periodico empolese « Il Piccolo » del 21 dicembre 1919.
(7) R. Davidsohn, Storia di Firenze. Le origini, Firenze, Sansoni, 1909, parte II, pp. 873 e 1033.
(8) Scipione Ammirato, Istorie fiorentine, t. I, p. 59. Cfr. L. Lazzeri, Storia di Empoli, Empoli, Tip. Monti, 1873, p. 22. Vincenzio Borghini pone la sommissione d’Empoli nel 1181, secondo lo stile fiorentino: « anno MCLXXX primo, tertio nonas februari, indictione XV », dice l’atto di capitolazione.
(9) E. Repetti, Dizionario storico-geografico, alle voci « Empoli » e ».
(10) G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, Firenze, Barbera, 1875, t. I, p. 652. Il Lunario Empolese per l’anno MDCCCV, dell’arciprete Luigi Lami, manoscritto conservato dal dott. Vittorio Fabiani, alla data del 24 giugno riferisce : « Natività di S. Giovanni Battista. In questa mattina interviene alla Messa solenne nella Collegiata il Magistrato Comunitativo ».
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