Vincenzo Salvagnoli e la sua Terra natale
negli anni 1859-1860
di Emilio Mancini
da:
La Miscellanea Storica della Valdelsa, anno XXVI , (fasc. 2-3), n. 75-76, anno 1918
Nello stesso giorno in cui Vittorio Emanuele II rialzava la gloriosa bandiera prostrata a Novara e rinnovava la guerra all’Austria, in Firenze, auspici il Bartolommei, il Peruzzi, Giuseppe Dolfi, don Neri Corsini, in una mirabile comunanza d’ intenti, patrizi e popolani dirigevano quella pacifica rivoluzione, che doveva rendere alla gran madre Italia la gentile Toscana.
Firenze dava l’esempio alle città sorelle mettendo alla porta l’austriaco arciduca con tanto garbo, che un diplomatico francese stupiva non si fosse rotto un vetro né chiusa una bottega di cambia-valute, ed il nostro Vincenzo Salvagnoli scriveva lepidamente: « Alle 6 la rivoluzione andò a desinare. »
Pochi giorni dopo Carlo Boncompagni, Commissario del Re Vittorio a Firenze durante la guerra, nominò un Ministero, di cui fecero parte Bettino Ricasoli, Ministro dell’Interno, che si proponeva di « sommergere questa povera Toscanina, nell’oceano dell’italianità », Cosimo Ridolfi, Enrico Poggi, Raffaele Busacca e, più tardi, Vincenzo Salvagnoli. Questi, prima di esser nominato Ministro, era stato inviato a Torino e poi ad Alessandria, ove si abboccò con Napoleone III, che l’anno prima aveva veduto a Compiègne, circa le cose della Toscana.
Vincenzo Salvagnoli era nato presso Empoli, nella sua modesta casa di Corniola, il 28 marzo 1802, dal dott. Cosimo, caldissimo ammiratore del primo Napoleone, e da Silvia di Lorenzo Genovesi, di S. Croce sull’ Arno, « donna – dice il Tabarrini (1) – austera e di alti spiriti. »
1) M. TABARRINI, Vincenzo Salvagnoli, (in Risorgimento Italiano, Biografie storico-politicbe d’ illustri italiani contemporanei per cura di L. Carpi, vol. II, pagine 281-96, Milano, Vallardi, -1886).
Fu fratello di lei il prof. Averardo Genovesi che insegnò retorica nel Liceo di S. Miniato, compose una ventina di ottave in morte del Canova, due tragedie, fra cui un’Atalia (2), e, di spirito mordace e irrequieto, fu autore di un opuscolo anonimo contro il poeta mugellano Filippo Pananti e scrisse sulla città che l’ospitava un sonetto satirico che gli attirò addosso un vespaio di contumelie più o meno felicemente rimate (3).
Fratello maggiore di Vincenzo, l’abate Giuseppe Salvagnoli, cospiratore e poeta, traduttore dei salmi e di Virgilio, collaboratore assiduo del Giornale Arcadico, lasciò traccia di sé nella storia delle lettere specialmente con certi suoi critici Dubbi intorno agl’Inni sacri del MANZONI, che non passarono inosservati a’ suoi tempi (4). Morì a trent’anni il 16 dicembre 1829, seguendo dopo soli quattro giorni il padre nella tomba.
L’atto di nascita e di battesimo del Salvagnoli fu pubblicato nel settimanale empolese Il Piccolo Corriere del Valdarno e della Valdelsa (24 sett. 1911).
2) Atalia tragedia di A. GENOVESI, Samminiato, presso Antonio Canesi, 1887. L’ altra tragedia pare s’intitolasse Alì Tebelen, secondo ricordava Augusto Conti, Arciconsolo della Crusca, il quale fu per due anni discepolo del Genovesi.
3) Il sonetto, ancora vivo nella memoria dei samminiatesi, è quello che comincia:
Fu da certa tedesca mammalucca
dichiarata città questa bicocca.
Ha per insegna una sfasciata rocca
per protettore un Santo senza zucca.
Al Genovesi rispose per le rime un Bonfanti sammianiatese, che tra l’ altro gli cantò:
Tu sanculotto in pria, messa parrucca
Leccasti il c… a tutti, con arte sciocca,
E a te digiun fe’ dimenar la bocca
Quel popol che, a tuo dir, tutto pilucca.
Altri due anonimi rincararon la dose, finché un comune amico, dott. Ercole Farolfi, sempre con le stesse bizzarre rime, porse un Consiglio alla pace, che venne accolto. Solo nel 1912, P. SISTO da Pisa, autore di una Storia dei Cappuccini Toscani, riaccese l’incruenta guerra, scagliando un fiero sonetto, rimasto fortunatamente inedito, contro il malcapitato denigratore della città dei Borromeo e dei Bonaparte.
Di questa curiosa polemica parla il prof. FRANCESCO RAVAGLI nell’ articolo: Guerra poetica sulla città di S. Miniato, pubblicato nella sua miscellanea Erudizione e Belle Arti (Carpi, febbraio – marzo 1905). Cfr. anche F. PANANTI, Scritti minori inediti o sparsi.…. pubblicati da Luigi Andreani (Firenze, R. Bemporad e F. 1897), pagg. 47 e 106; dott. VITTORIO FABIANI, Ippolito Neri (Firenze, Seeber, 1901), pagg. 201-2.
4) Per cenni biografici vedansi la Storia di Empoli di LUIGI LAZZERI (Empoli, tip. Monti, 1873), pag. 299; Almanacco biografico degli eruditi toscani, (S. Miniato, 1826) anno III, pag. 11, e un necrologio nel Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti. (Roma, 1832), tomo LVII, pag 365. Per la polemica intorno agli Inni manzoniani, cfr. G. MAZZONI, L’Ottocento (Milano, Vallardi), pag. 571 A. LINAKER, La vita e i tempi di Enrico Mayer (Firenze, Barbera, 1898), pagg. 185-8, P. PRUNAS, L’Antologia, di G. P. Vieusseux (Roma, Albrighi e Segati, 1906), pag. 156; G. RABIZZANI, Intorno ad un capolavoro (in Marzocco, 20 agosto 1916).
Un altro fratello, Antonio, dottore in medicina, fu per varie legislature Deputato per Empoli, poi Senatore, e si occupò con speciale zelo delle bonifiche delle Maremme e dell’Agro romano.
Vincenzo Salvagnoli ebbe per primi maestri i frati Carmelitani, che allora avevano convento sulla stessa collina di Corniola, ed il canonico empolese Pandolfini « tanto buono quanto dotto — asserisce il Puccioni (5) — ed è fama fosse dottissimo. »
Il Pandolfini, addottorato in diritto canonico e civile, teologo della Collegiata, nel 1815 fu eletto, per deliberazione dell’Opera, Maestro delle pubbliche scuole, ove rimase fino al 1820, nel quale anno passò probabilmente ad insegnare lettere italiane e latine nel nuovo Istituto pubblico. Morì nel 1845. La testimonianza del Salvagnoli stesso di aver molto imparato da piccolo è la più chiara lode per gli uomini egregi e modesti che per primi coltivarono il suo fervido ingegno (6).
Continuò poi gli studi nelle scuole classiche di S. Miniato (7) e nel Collegio Vescovile di Colle Val d’ Elsa; indi, passato all’Università di Pisa, conseguì la laurea in legge nel 1822.
Esercitò l’avvocatura prima in Empoli, poi a Firenze, dove si trasferì con la famiglia – e dove ben presto si rese celebre nell’arringo forense e politico. Empoli già per due volte aveva eletto l’ illustre suo figlio a Deputato al Parlamento, o, come allora si diceva, al Consiglio Generale del Granducato, quando il Salvagnoli, con Decreto del 30 maggio 1859 del Commissario Boncompagni, venne nominato Ministro.
5) PUCCIONI, Vincenzo Salvagnoli (nella raccolta I contemporanei italiani, Torino, 1861). Il Puccioni scrisse quest’elogio per gli onori parentali del Salvagnoli, celebrati il 10 giugno 1861 dall’ Accademia Empolese di Scienze Economiche.
6) GIOVANNI PROCACCI, Vincenzo Salvagnoli (in LAZZERI, op. cit., pag. 307).
7) Nell’atrio dell’ antico Liceo di S. Miniato si legge questa epigrafe:
VINCENZO SALVAGNOLI, Avvocato eloquentissimo uomo di Stato — Membro del Governo della Toscana — efficace promotore dell’ unità d’ Italia — ANTONIO SALVAGNOLI — Senatore Economista valoroso — ……qui s’ accesero alla prima favilla — cui secondò gran fiamma in bene della patria — Il Municipio pose MDCCCLXXXVIII.
Ai primi di giugno, il Gonfaloniere di Empoli, dott. Ernesto Niccolò Bucchi, gli inviò la seguente lettera :
« Il Municipio di Empoli, leale interprete del voto popolare, vi porge sincere e cordiali congratulazioni per la vostra elezione al reggimento degli affari ecclesiastici. È questo un nuovo pregio che si aggiunge alla nostra corona civica. È una giusta ricompensa all’ illustre cittadino, che, in tutte le epoche della sua vita ha gagliardamente propugnato la causa del riscatto d’ Italia.
Non sono ignoti i dolori da voi sofferti per sì nobile causa, ma la vostra fede politica ed il vostro civile coraggio trovano ora un meritato guiderdone nell’alto incarico a Voi cotanto degnamente affidato. Il vostro passato ci è arra sicura dell’avvenire. Accettando il nobile Ufficio, avete fatto generosa abnegazione delle vostre abitudini il vantaggio della Patria comune.
Ma la Patria riconoscente apprezzerà i vostri servigi, e la storia non potrà tener proposito dell’attuale sublime movimento, senza consacrare una pagina al vostro nome.
E noi, comprendendo l’ indole di questo moto, che l’ombra dei secoli non potrà ricoprire, bene ci rallegriamo del vostro inalzamento, che costituisce onoranza non municipale, ma italiana.
Signor Ministro !
In epoche diverse i vostri concittadini hanno in voi ammirato il giureconsulto e l’economista; crebbe l’ammirazione per il pubblicista italiano, che alle libere istituzioni volle accoppiato il forte Governo. Ora non dubitiamo che sotto il vostro provvido Ministero saranno in bene augurato connubio riuniti il Sacerdozio e l’ Imperio.
Accettate con animo benigno i sentimenti di stima e di affetto, che i cittadini del Comune di Empoli vi esprimono col mezzo dei loro rappresentanti. (8)
8) A proposito di questo indirizzo, trasmesso con lettera cortese dal Ministro dell’ Interno al Salvagnoli, vedasi la lettera di ringraziamento del Nostro al Ricasoli, scritta il 15 giugno e pubblicata in Lettere e Documenti del barone Bettino Ricasoli pubblicati per cura di M. TABARRINI e A. GOTTI (Firenze, Succ. Le Monnier, 1888), vol. III, p. 100. Sulla nomina del Salvagnoli a Ministro cfr. ENRICO POGGI, Memorie storiche del Governo della Toscana nel 1859-60 (Pisa, Nistri, 1867), vol. I, pagg. 78-9.
Il 10 giugno il neo-Ministro inviava al Gonfaloniere stesso una lettera di ringraziamento, che riferiamo integralmente:
« Vedere che il rappresentante del mio Municipio natale è il primo a rallegrarsi meco per essere io portato a un grado tanto importante e difficile, mi reca un gran conforto, perché mi addimostra la fiducia che hanno in me i miei concittadini che sono stati testimoni di tutta la mia vita. Essa non ha perduto mai il suo scopo, né ora lo perderà, quando appunto è vicina a toccarlo. Il suo scopo è l’indipendenza d’ Italia e la sua libertà, perché possa essere veramente civile e felice. Con piacere io veggo che i miei sentimenti morali e politici non sono diversi da quelli dei miei concittadini, e mi confido che gareggeranno meco per ogni sforzo, perché si compiano i destini della Nazione, la quale è per tanti secoli conculcata dallo straniero, e avvilita da feroci o stupidi governi.
Io la prego, signor Gonfaloniere, a rendere nota la presente a’ miei compaesani, e a ricevere le conferme della mia stima. »
Intanto, mentre sui piani lombardi ferveva la guerra liberatrice, in Toscana si lavorava indefessamente per la causa dell’unità nazionale. Ed anche Empoli prese vivacissima parte al moto unitario, che risvegliava i mal sopiti ardori del ’48.
Fin dal 4 maggio 1859, un Comitato composto dei signori dott. Ercole Figlinesi, Alessandro Del Vivo, Giovanni Bertelli, Giovan Battista Duranti, Lorenzo Gimignani e Antonio Borsellini, ai quali poi s’aggiunsero, per deliberazione municipale, il Gonfaloniere Bucchi, come Presidente, ed i signori Notaro Odoardo Duranti e Ferdinando Gozzini, promoveva la raccolta di offerte per la guerra, mentre una « Commissione di zelanti cittadine raccoglieva fila e fasce per i feriti. Il programma del Comitato promotore si presentava con un sentenzioso esordio:
« Sovvenire il buon volere è mezzo di grandi resultati – concorrere al ben essere della Patria con ogni opera onesta dovere di cittadino.
La guerra dell’indipendenza della nostra Italia ha trovato molti giovani animosi, determinati a prestare volontariamente il loro braccio ed esporre la loro vita per il bene comune.
La maggior parte però di essi difetta di mezzi pecuniari.
Trascurare questa gioventù e questi momenti supremi, sarebbe renunziare all’origine ed al nome di Italiani. »
E continuava indicendo una sottoscrizione con gli scopi di somministrare ai Volontari Empolesi i mezzi necessari al viaggio, di assegnare a ciascuno di essi un premio, di versare una parte della somma raccolta nel Pubblico Erario Toscano a titolo di donazione nazionale, ed infine di tenere il rimanente come massa di rispetto per erogarsi in pubbliche e private necessità, eventualmente occasionate dalla guerra.
Il 23 maggio il Bucchi annunziava che le Autorità Municipali concorrevano ad integrare e dirigere l’opera del Comitato cittadino:
« Mentre i Popoli Italiani – così quel manifesto cominciava – accorrono sui campi di battaglia per sottrarsi alla oppressione dello straniero, e la Nazione con voto unanime è risoluta a frangere le secolari catene, la Popolazione Empolese non poteva astenersi dal dare splendida dimostrazione dei patri sentimenti dai quali è animata.
Non appena fu concesso alla Toscana di concorrere con ogni mezzo alla espulsione dell’inimico, che da tanto tempo contamina la nostra classica Terra, alcuni onorevoli Cittadini si associarono in forma di Comitato, onde raccogliere oblazioni pel felice esito della guerra nazionale.
Sia gloria al nostro Paese! Ché cittadini di ogni ordine concorsero al volontario tributo, ed anche i più poveri offersero spontanei il loro obolo sull’Altare della Patria ! »
E concludeva:
« La popolazione urbana ha già corrisposto generosamente all’aspettativa del Governo. Non dubito che anche gli abitanti della Campagna con lodevole gara largamente contribuiranno ai bisogni della Patria.
In questi solenni momenti si dia bando ad ogni malaugurato timore, e venga meno ogni civile dissidio. Forti per concorde volere e per la santità della causa da noi propugnata, temere non possiamo dell’esito.
L’ Italia sarà libera e indipendente. Iddio lo vuole! »
***
Già eran passati per le nostre vie i soldati Francesi sbarcati a Livorno.
Un testimone autorevole di quelle memorabili giornate così ha evocato la visione lontana:
« I Francesi, che nelle mattine luminose e fragranti del maggio toscano, passavano rossi e impolverati per la via maestra, allungantesi tra le campagne in fiore, a piè de’ Colli e della rocca di S. Miniato, donde il Carducci avea pur allora lanciati i suoi primi versi augurali; passavano allegri ed acclamanti Vive l’Italie! mentre le bande suonavano inni di guerra, e donne e fanciulle gittavano rose ed alloro, ed anche sigari, i sigari toscani di beata memoria per ogni vecchio fumatore, e contadini e ragazzi marciavano festosi collo zaino dei soldati in spalla per alleviare loro la fatica del cammino. » (9)
9) GIUSEPPE RONDONI, I giornali umoristici fiorentini dei triennio glorioso (1859-61), (Firenze, G. C. Sansoni, 1914), pag. 16.
L’accoglienza degli Empolesi fu pure entusiastica, naturalmente. Per qualche tempo i pantalons rouges, a bivacco per le nostre vie e specialmente in Via de’ Neri, fraternizzarono coi popolani. Di che fa cenno il Gonfaloniere Bucchi nella notificazione di commiato dalla cittadinanza (22 novembre 1859) :
« Nel dare ai Guerrieri Francesi ospitalità cortese, e direi quasi magnifica, fortificaste il bene augurato connubio delle due Nazioni sorelle, le quali vanno orgogliose d’avere conservata la Civiltà Latina, a dispetto dei Barbari.
Ai Duci Francesi resero omaggio i nostri Veterani, nobili reliquie del primo Impero. Essi ricordavano il sangue versato dai nostri antenati per la Nazione alleata: la quale pagò il suo tributo di gratitudine a Magenta e a Solferino. »
Mio padre, che allora aveva quattordici anni, mi parla del delirante entusiasmo di quei tempi, quando la popolazione empolese traeva in folla incontro agli alleati, che sfilavano a migliaia per il nostro paese accolti dal grido ininterrotto: Viva la Francia! e, dopo una breve sosta fra noi, marciavano verso Firenze o verso Pistoia, seguiti ancora da un lungo codazzo di popolani e dai voti di tutti i patriotti.
Dopo l’esultanza per le vittorie delle armi franco-italiane, il 12 luglio l’inattesa pace di Villafranca gettò lo sconforto negli animi che già vedevano il tricolore sulle torri di Trento e sul campanile di S. Marco. Fu una dura disillusione, ma i Toscani parve volessero donare il proprio cuore, la propria gloria alla Patria ferita ed amareggiata.
In seguito al voto espresso – come dice il manifesto della Comunità di Empoli del 29 luglio – « da onorevolissimi Cittadini di ogni classe, in numero non minore di Mille duecento novanta quattro, dopo aver giustamente considerato
« che tutti i mali d’Italia sono derivati dalla sua divisione in diversi piccoli Stati, inabili a difendersi dalli stranieri, e solo idonei a mantenere vive le gare municipali; che l’ Italia deve riunire le sue forze, onde conservare la propria Nazionalità; che propizia si presenta l’occasione di riunire la Toscana alli Stati sottoposti allo Scettro Costituzionale del Magnanimo figlio di Carlo Alberto; che la più eletta porzione del Popolo Empolese ha spontaneamente dimostrato il suo fermo volere di formar parte della famiglia Italiana affidata all’ Augusto Vittorio Emanuele, la Magistratura Civile all’ unanimità emetteva il voto perché la Toscana fosse riunita alle altre Provincie Italiane che sono rette dal magnanimo Vittorio Emanuele di Savoia, prode dei prodi e Re Cittadino. »
Ai primi di agosto avvennero le elezioni dei deputati all’ Assemblea Toscana: Empoli volle esser nuovamente rappresentata da Vincenzo Salvagnoli, il quale espresse la propria riconoscenza con questa lettera diretta al Bucchi:
« Firenze, 9 ag. 1859
Ill.mo Sig.re Gonfaloniere,
La nuova della mia elezione mi ha recato gran piacere, perché mi ha certificato che il mio Paese mi conferma il suo affetto e la sua fiducia. Godo anco nel vedere che il concorso degli elettori è stato molto, e molti i voti che mi hanno eletto. Io la prego a ringraziare di tutto i miei concittadini, ai quali sempre più mi lego di affetto e di riconoscenza. La prego ad accettare i miei particolari ringraziamenti per la prova che Ella mi ha dato di benevolenza. Ma la prova più grande sarà il ritiro della dimanda di dimissione di Gonfaloniere. Si accerti che Ella è assolutamente necessario in quel posto. Intanto la riverisco con profondo ossequio.
L’ Assemblea dei Rappresentanti Toscani dichiarò decaduta dal trono la dinastia Absburgo-Lorenese e proclamò l’ annessione dell’ex-granducato al Governo Costituzionale di Vittorio Emanuele II.
Quando venne l’annunzio, il 4 settembre, che il Gran Re aveva ricevuta la deputazione incaricata di presentare il voto dell’ unione della Toscana agli Stati Sardi, e che il Re aveva accolto il voto stesso come solenne manifestazione della volontà del Popolo, il Gonfaloniere Bucchi, per festeggiare il fausto avvenimento, pubblicava un manifesto che terminava cosi:
« …..questa sera verranno illuminati gli Edifizi di proprietà del Comune; ed invito i Cittadini ad illuminare le respettive abitazioni. La Banda Municipale percorrerà per qualche discreto tempo le vie principali del Paese, rallegrando la popolazione con scelte sinfonie.
Empolesi! Il fortunato evento che Noi solennizziamo ci è arra di miglior avvenire. Nell’abbandonarci a quella pura gioia, che spontanea deriva dalla fausta notizia, conserveremo quel dignitoso contegno, che si addice ad un popolo libero, il quale ha saputo rivendicare la propria nazionalità. »
Il dott. Bucchi, prima di scadere dall’ufficio, sovraintese alla costituzione della Guardia Nazionale, nominando una deputazione incaricata di compilare i ruoli dei Militi Cittadini. Di essa fecero parte: Giuseppe Cecchi, provveditore, dott. Andrea Pandolfi, vicepresidente, Niccolò Bezzi, Paolo Pini, Luigi Marsili, Argirio Benvenuti, Luigi Santini, not. Odoardo Duranti, segretario.
Il proclama municipale (22 ottobre) manifestava la fiducia che i cittadini avrebbero saputo adoperare le armi
« per resistere all’ Austriaco, se nuovamente tentasse violare il sacro suolo della Patria; e per disperdere i faziosi, se ardissero disturbare quell’ordine interno, che forma una delle più schiette glorie dell’attuale sublime movimento italiano. »
Questo l’ ultimo atto del benemerito Gonfaloniere, sotto la cui amministrazione fu decretata l’erezione della Caserma di Naiana, si ordinò l’incanalamento delle acque pluviali, si disegnò un piano dei lavori per colmare i terreni di nuovo acquisto lungo l’ Arno, e che, in tempi difficili, aveva saputo, com’egli dice salutando il 22 novembre ’59 la cittadinanza, « con fermo braccio inalberare la Bandiera dell’ Ordine, nulla curando il cinguettare delle fazioni estreme. » (10)
Mi piace altresì ricordare che il Salvagnoli, come ministro degli affari ecclesiastici, richiesto il 27 Giugno 1859 dalla Ven. Opera di S. Andrea di un sussidio per restaurare la Collegiata, concesse lire 5040, raccomandando specialmente il restauro dei monumenti d’arte. Fu allora istituita la nostra Pinacoteca, raccogliendosi nella vecchia Cappella di S. Lorenzo, riadattata a spese dell’Opera, le cose artistiche più notevoli dell’ Empolese (11).
L’amministrazione Ciampolini, che tenne dietro a quella del Bucchi, diresse le cose del Comune al tempo del plebiscito: nel marzo del ’60 i Toscani gridaron 366.571 entusiastici sì alla Monarchia italiana, unitaria e liberale di Casa Savoia, contro 14.925 no di teste caudate stillanti lacrime sulla tomba della povera Toscanina granducale.
10) Il dott. E. N. Bucchi, figlio del dott. Ulivo di San Giorgio, nome non ignoto nel campo delle lettere, nacque nel 1812 in Pisa ed ivi si laureò in legge. La Nazione dell’8 agosto 1868 così ne annunziava la morte: « Il dottore Ernesto Niccolò Bucchi fu padre di famiglia esemplare, probo cittadino, uomo giusto e dabbene.
Fornito di acuto ingegno, strenuo ed infaticabile studiatore congiunse alla cognizione delle dottrine prevalenti nel foro la cognizione profonda del Testo Romano e la cognizione istorica della ragione delle leggi e delle patrie costumanze. Splendore della Curia Samminiatese, tenne alto l’onore della toga per ben 36 anni…
Positivo ed esperto schivò gli eccessi di parte vagheggiando in politica un avanzamento equabile ed assennato e riponendo nelle civili virtù il germe di ogni progresso avvenire. Chiamato altre volte ai primi onori nella sua terra natale, fu magistrato integerrimo, zelante ed abile amministratore della cosa comunale e come tale rispettato e sommamente e stimato. »
Morì in compendio e fu sepolto nella sagrestia della Cappella del Camposanto della Ven.Opera. Nella Cappella si legge questa semplicissima iscrizione: A ricordare – Ove ripose le ossa onorate di Ernesto Bucchi – morto il V agosto MDCCCLXVIII – Carlo Alberto figlio – P. L. T.
11) Dott. GENNARO BUCCHI, Guida di Empoli illustrata (Firenze, tip. Domenicana, 1916), p. 49.
Alla mezzanotte del 15 marzo dal terrazzo di Palazzo Vecchio, a Firenze, Enrico Poggi, ministro di Grazia e Giustizia, pubblicò il resultato del plebiscito toscano. In quella notte nella città del Machiavelli si pose la pietra angolare dell’edificio nazionale e « la Toscana – così l’ ultima notificazione di Ernesto Bucchi – ricca di tradizioni storiche, maestra di ogni civiltà, fece commendevole abnegazione di ogni municipale sentimento onde conseguire il grande scopo. »
I nostri avi poterono esser fieri d’aver contribuito, per quanto loro spettava, alla grande opera del patrio riscatto; fieri e lieti di appropriarsi le parole che Bettino Ricasoli disse, quando la notte del 15 marzo 1860 andò a riposare: « Abbiamo fatto tutti il nostro dovere! »
***
Avvenuta e sanzionata col plebiscito l’annessione, il Salvagnoli si dimise da Ministro e non poté accettare di rappresentare per la quarta volta il Collegio di Empoli. La sua salute, scossa da un improbo lavoro e minata da un’implacabile malattia, non gli permise di più partecipare alle sedute del Parlamento. Re Vittorio lo nominò senatore e gli conferì il titolo di nobile (11).
Anche in mezzo alle assillanti fatiche ministeriali, il Salvagnoli trovò modo di chiedere nuove ispirazioni a quella patriottica Musa, che gli aveva dettato i primi canti della sua giovinezza. In una corona di tredici sonetti, rimasti inediti nella Biblioteca Nazionale di Firenze (12), egli invoca la liberazione di Napoli, Venezia e Roma, impreca contro l’Austria ed il Borbone, lancia invettive contro il potere temporale dei Papi, inneggia al Re Galantuomo, all’ Imperatore dei Francesi, al barone Ricasoli, al conte di Cavour.
11) Il Municipio di Firenze conferì il patriziato al Salvagnoli, al Busacca e al Poggi. Il Principe di Carignano, approvando a nome del Re quella deliberazione, volle che allo stemma di famiglia di ciascuno dei tre Ministri fosse sovrapposto un leone nascente che tenesse levata in alto la bandiera nazionale, affinché avessero « i posteri viva e perenne memoria dei benemeriti acquistati dal loro antenato verso l’Italia. » (E. POGGI, op. cit. II, pag. 280).
12) Ho presso di me esatta copia dei versi del Nostro; l’egregio cav. Giuseppe Baccini, che per me li trascrisse dall’originale, si abbia i miei ringraziamenti sinceri.
Negli ultimi tempi della sua vita, benché atrocemente travagliato dal mal di cuore, con lena indefessa, quasi presago della prossima indeprecabile fine, il Salvagnoli dettò – a quanto asserisce il Puccioni – memorie intorno all’ organamento del Regno, alle relazioni tra Chiesa e Stato, alla pubblica economia, e finì una introduzione alla storia d’ Italia, destinata nella sua mente a continuare la storia di Carlo Botta.
Ma la morte, il primo giorno di primavera del 1861, spense per sempre la luce di quel vivido e gagliardo intelletto di pura essenza toscana splendente in fiamma d’ italianità, chiuse quegli occhi chiaroveggenti che, qui in Toscana, nel cozzo delle voglie cieche e divise, nel mutar dei tempi, fra i primi scorsero di lontano e non abbandonarono la meta, cui dovevano approdare le nostre secolari sciagure.
Lui ascoltarono e riverirono i più alti intelletti del suo tempo. Dodici anni dopo la sua morte, nella ricorrenza del 27 aprile, inaugurandosi nel Camposanto pisano la statua della Giurisprudenza scolpita da Odoardo Fantacchiotti per la tomba dello statista empolese, alla presenza di cospicui personaggi, quali il Centofanti, il Peruzzi, Celestino Bianchi, Sansone D’ Ancona, Giuseppe Barellai, Zanobi Bicchierai, Felice Tribolati, pronunziò un alto elogio il senatore Francesco Bonamici e brevi parole disse, a nome del Parlamento, Giuseppe Massari.
Anche in quella circostanza Empoli, per mezzo del sindaco dott. Emilio Del Vivo e del dott. Andrea Pandolfi, segretario dell’ Accademia Empolese di Scienze Economiche, espresse la sua ammirazione al diletto suo figlio. (13)
Vincenzo Salvagnoli morì prima che l’età sua fosse piena, prima di raccogliere intero il frutto del buon seme gittato.
Le poesie del Salvagnoli, sparse in varie efemeridi del tempo, intendeva raccogliere e pubblicare Emilio Frullani, ma ne dimise poi l’idea senza grave iattura delle lettere e del buon nome dell’ autore.
13) F. BUONAMICI. Per la dedicazione di una statua a V. S. (Pisa, 1873). I discorsi dei due rappresentanti empolesi vennero in luce nel giornale La Provincia di Pisa del 1° maggio di quell’ anno.
E scomparendo dalla scena politica al chiudersi della storia granducale e quando era per partecipare degnamente alla vita pubblica del giovane regno, la sua figura rimase circoscritta nell’ambito di una storia regionale né parve dovesse spettarle importanza maggiore. Il nome e l’opera multiforme del giureconsulto toscano meritano più ampia luce. Lo augurava, trentasette anni or sono, uno storico autorevolissimo:
« … Grande – scrisse Augusto Franchetti (14) – fu l’autorità che [il S.] ebbe fra i suoi concittadini, tanto nei tempi che precedettero e apparecchiaron il 27 Aprile del 1859, quanto nel governo provvisorio della Toscana, del quale fece parte come ministro di grazia e giustizia (sic) e dettò tutti gli atti pubblici.
Laonde è viemaggiormente da desiderare che alcuno tra coloro che ebbero con esso amichevole familiarità, giovandosi delle carte importantissime da lui certamente lasciate, ce ne dia un compiuto ritratto, e renda un giusto tributo alla sua memoria, come altri fece per Luigi Ornato, per Valentino Pasini, per Gino Capponi ed anche per più d’ uno forse non al pari di lui benemerito del risorgimento. »
Parlando recentemente del nostro illustre concittadino (15), ebbi occasione di esprimere lo stesso voto; lo rinnovo ora, col desiderio e la speranza che, se la mia voce è più debole e modesta, sia più propizia la fortuna.
EMILIO MANCINI
14) A. FRANCHETTI, Prospero Merimée e V. S. in La Rassegna settimanale, (Roma, 1881, vol. VII, pagg. 217-9).
15) Cfr. il mio articolo: Antonio Panizzi e V. S., pubblicato nella Rassegna Nazionale del 16 luglio 1917. Mi trattenni di nuovo a parlare del Salvagnoli nel ricordato periodico Il Piccolo (16 giugno 1918), spigolando numerose notizie specialmente dal citato carteggio ricasoliano. Ho dato anche un tenue saggio sui famosi epigrammi del Salvagnoli nel mio articolo: Un epigrammista toscano del Risorgimento comparso sul Marzocco del 5 gennaio 1919.
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