Giuliano Lastraioli
RICORDANDO MARIO BINI. . .
Estratto dal “Bullettino Storico Empolese”
XXII-XXIII N. 3-4-5-6 – 1978/1-2 – 1979/1-2
Empoli, 1982
Ospitiamo volentieri qui, sul sito dedicato a Emilio Mancini, un ricordo scritto da Giuliano Lastraioli del suo amico Mario Bini, che si firmava “Attico junior”, in onore di Emilio, che a sua volta nascondeva il nome sotto lo pseudonimo “Attico”.
Tre grandi empolesi di cui è sempre bello parlare
Paolo e Andreina
RICORDANDO MARIO BINI. . .
Fedele anche nella morte al suo stile schivo di qualsiasi « mondan romore », Mario Bini, creatore ed anima del « Bullettino Storico Empolese », ci lasciò silenziosamente, quasi in punta di piedi, nell’afoso pomeriggio del 13 giugno 1980, reclinando il capo improvvisamente nel pieno fervore dei suoi studi, ai quali ormai dedicava tutto il suo tempo con una intensità quasi presaga della incombenza del termine, ma anche con una vitalità sempre giovanile che ci consentiva di confidare ragionevolmente in ben più ampia mora di dilazione.
Cosa significasse Mario Bini per la nostra rivista è dimostrato all’evidenza dalla fin troppo lunga stasi delle pubblicazioni.
Per Lui il « Bullettino » era tutto; senza di Lui il « Bullettino » è un orfano che solo adesso riprende a muoversi come un pulcino nella stoppa.
La riservatezza di Mario Bini, la sua innata ritrosia a mettersi in mostra, la sua modestia quasi patologica (basti pensare che, anche dopo il decesso di Vincenzo Chianini, primo direttore di « bandiera » del « Bullettino », Mario nascose sempre la sua firma, in microscopico carattere tipografico, dietro il burocratico attributo di « responsabile »), tutte queste peculiarità del suo « habitus » non ci possono ora impedire di proclamare alto e forte che fu Lui il vero fondatore di questa rassegna, che non poche benemerenze ha acquisito nel campo della storiografia empolese durante un quarto di secolo, impresa certamente notevole e degna di rispetto in un contesto culturale per altri versi così asfittico e nient’affatto esaltante.
Mario Bini era un empolese puro sangue, nato il 5 luglio 1919 in una casetta in via del Noce (per Lui sarebbe stata una imperdonabile bestemmia dire via della Noce), a ridosso della Porta Pisana, da una famiglia della piccola borghesia impiegatizia.
Suo padre era quasi un fac-totum in municipio e tale sua ascendenza lo facilitò, poi, ad orientarsi fra i segreti meandri delle « res emporienses » .
Compiuti gli studi classici in un prestigioso liceo fiorentino, si laureò in chimica pura con lusinghiera votazione presso la facoltà di via Capponi — sempre in Firenze —, allora insigne per il valore dei maestri e la severità dei corsi.
Passato il turbine della guerra, dopo brevi parentesi al centro di ricerche scientifiche della Montecatini ed in un gabinetto professionale, Mario Bini si occupò definitivamente come « manager » presso l’antica conceria empolese di Antonio Del Vivo, instaurando un rapporto di collaborazione e di amicizia col « principale » che doveva rivelarsi estremamente gratificante per entrambi.
Il colpo di fulmine per gli studi storici scattò quando donna Lina Del Vivo-Salvagnoli gli aprì occasionalmente l’archivio del proprio avo Vincenzo nella villa di Corniola.
Mario si tuffò nel « mare magnum » di quelle carte e tosto ne ritrasse la vocazione, totalizzante e non meramente hobbystica, di tutta la sua vita, per assolvere convenientemente la quale conobbe da allora una serie continua ed ininterrotta di notti insonni, nell’ansia quasi spasmodica di apprendere tutto (e di comunicare tutto) ciò che avesse una qualche attinenza con la storia di Empoli.
L’ampiezza dei suoi campi d’indagine ha dell’inverosimile ed il frutto dei suoi lavori, troppo presto interrotti dall’evento fatale proprio quando Egli si apprestava a darcene i risultati definitivi, sta nel suo « Bullettino », monumento del suo impegno, del suo valore intellettuale e della sua erudizione non sterile, acquisita con un metodo ed una costanza che si ispiravano alle grandi figure toscane di Giovanni Lami e di Emanuele Repetti.
La sua prima pubblicazione di argomento storico fu, salvo il vero, un breve scritto attorno a « Giuseppe Del Papa e il saggio “Sulla natura del caldo e del freddo” », uscito, manco a dirlo, sulla rivista « Chimica » di Milano nell’aprile del 1957.
Nel novembre dello stesso anno, pei tipi del Caparrini, uscì il primo numero del « Bullettino Storico Empolese », da Lui voluto ed inteso come « Periodico di studi di storia locale civile economica letteraria artistica ».
Da allora i suoi lavori di inerenza empolese non si contano.
Ogni aspetto della nostra storia è stato da Lui indagato e chiarito con impressionante dovizia di informazioni di prima mano e completezza di fonti bibliografiche ed archivistiche; con rigore analitico di esposizione ed efficacia di sintesi nelle conclusioni (amava sentirsi dire che trattava la materia storica con la precisione usata dal chimico nel dosare i componenti dei suoi preparati); con uno stile spesso ironicamente arcaico e artatamente cruscante, non per vezzo provinciale o per uzzolo retrogrado, ma in voluto dispregio della odierna sciatteria a proposito di lingua.
È impossibile darne qui pieno discarico nel corso di questa troppo rapida rievocazione (*).
Si va dalle ricerche sulle più importanti famiglie della nascente borghesia empolese, alle note odonomastiche, toponomastiche, archeologiche ed archivistiche, alla revisione critica di momenti e personaggi del nostro Risorgimento e dell’Ottocento in generale, alle « trouvailles » curiose ed alle ipotesi più suggestive su fatti e figure disparatissimi e sulle molteplici questioni lasciate irrisolte dai vecchi cultori di patrie memorie, alla pubblicazione delle carte e degli epistolari di Vincenzo Salvagnoli con apparati illustrativi ed esplicativi di primissimo ordine, ai lavori biografici su Giovanni Marchetti e Lorenzo Neri, ritratti compiutamente nel loro ambiente e nella loro epoca.
Ma dove l’opera di Mario Bini ha veramente raggiunto vertici di altissimo merito è nella edizione o riedizione critica di testi inediti o rari della storiografia cittadina (Chiarugi, Lazzeri, Rigoli), con immenso dispendio di applicazione e forti resultati sul piano filologico e scientifico.
Sarebbe sufficiente, infine, far mente alla ristampa del « Samminiato » di Ippolito Neri (finalmente la prima edizione tutta empolese del famoso poema eroicomico!), condotta in felicissima collaborazione con Sergio Cecchi, per assegnargli un posto di tutto rispetto anche nel campo della critica letteraria e della storia della letteratura.
E non parliamo della faticosa pubblicazione dell’immenso coacervo manoscritto delle « Notizie di famiglie empolesi » del capitolare Figlinesi, che ha davvero squarciato le tenebre su due secoli di storia cittadina (il Seicento e il Settecento) di cui, prima, quasi nulla si conosceva.
L’accuratezza di tale edizione non ha l’uguale. A parte il pregio degli stemmi araldici personalmente delineati da Mario Bini con tecnica ineccepibile e gusto da grafico di classe, basterà gettare un’occhiata agli indici (ve n’è addirittura uno dedicato ai soprannomi) per rendersi conto di come la passione del curatore abbia avuto ragione delle snervanti difficoltà e della obbiettiva pesantezza dell’assunto.
Recentemente la sua attenzione si era spostata su epoche più remote: da anni infatti stava portando avanti un’ardua e laboriosa indagine sulla tematica della centuriazione romana nel territorio empolese e preparava gli strumenti per la valorizzazione e la pubblicazione organica dei fondi diplomatici medievali d’interesse locale, dettando già le linee metodologiche ed operative per un’impresa di così vasto respiro, alla cui auspicata realizzazione sollecitava una minuscola équipe di giovani studiosi dell’ultima leva.
(*) È intendimento della Redazione pubblicare in uno dei prossimi numeri la bibliografia degli scritti editi di Mario Bini ed una congrua nota informativa sugli inediti e sul materiale di studio e di ricerca rimasto abbozzato.
Fra le carte da Lui lasciate sul proprio scrittoio c’è il piano completo per la stesura di un saggio panoramico sul Quattrocento a Empoli, articolata disamina a larghissimo raggio, comprensiva di ogni aspetto della vita politica, istituzionale, sociale, religiosa, culturale ed economica, in vista della quale aveva già raccolto ed ordinato analiticamente un amplissimo materiale.
Manovale della storiografia, come Gli piaceva definirsi, attese fino all’ultimo ad arricchire quel suo schedario di bibliografia generale empolese che, giorno dopo giorno, acquistava una mole sempre più ingente. Tale autodefinizione, per Lui, era tutt’altro che riduttiva, cosciente appieno dell’importanza di questa oscura attività di base, elementare quanto imprescindibile supporto del lavoro di storico.
La sua riserva di caccia era il ricco archivio della Collegiata, dove si sentiva « rex in regno suo ». Si era adoperato egli stesso, in massima parte, con l’aiuto di mons. Ascanio Palloni di buona memoria e di quella singolare figura di nobiluomo erudito che fu il principe Antonino da Empoli, anche lui passato a miglior vita nel gennaio 1981, a riordinare e a dotare di una degna sede quel prezioso fondo archivistico che, grazie ai suoi interventi, è ora divenuto un insostituibile quanto agevole strumento di lavoro per chi si occupa di storia empolese.
Negli ultimi anni, tutti i sabati pomeriggio che Dio mandava in terra Mario Bini era là a studiare e — soprattutto — a tenere libera ed accessibile cattedra di storiografia, pròdigo di consigli, di indicazioni e di notizie per tutti i giovani ricercatori che da mille parti, anche dall’estero, ricorrevano al suo esemplare magistero.
Quante tesi di laurea, quanti articoli, quanti saggi hanno riportato successi ed elogi grazie agli interventi ed ai suggerimenti di Mario, che spesso, quando l’allievo incespicava, non ristava dal mettere le proprie mani nella elaborazione dell’impianto, nella stesura del testo e nella confezione dell’apparato critico e documentale. Il suo tratto redazionale si disvela inconfondibilmente anche in molti luoghi del « Bullettino » firmati da altri autori, di lui più giovani e meno giovani, tutti ben lieti che la pennellata finale del Maestro avesse conferito, leggera ma sensibile, maggior decoro scientifico e letterario ai loro lavori.
Sembrava proprio che il Nostro, ripudiando la « forma mentis » gelosa ed esclusivista del tipico erudito di provincia, sedesse tra le filze e le pergamene della Collegiata non per conservarle sterilmente ai gusti umbratili degli annalisti da campanile, ma per estrarne il linguaggio della realtà vissuta, per toglierne via la polvere del tempo, per inserirle goccia a goccia nel fiume della storia viva. In tale sua attività era ormai divenuto un provetto e consumato paleografo, senz’altri maestri che i propri occhi e la diuturna consuetudine con le scritture del passato.
Leggeva distesamente onciali e caroline, arruffate minute e registri zeppi di ostiche abbreviazioni, sia in latino che in italiano ed in francese, come se si fosse trattato di nitide pagine bodoniane.
In sua mano anche un arido stato d’anime del ‘700 ed un libro di battezzati, di matrimoni o di morti cessavano di essere semplici repertori statistici ed amministrativi per assurgere al rango di fonte genuina e vivace per la conoscenza e la comprensione di tutta un’epoca.
Di qui uscirono i suoi studi sulla peste del 1630-31, a cui tanto deve finanche il Cipolla, massimo esperto di questo argomento, e le sue indagini, fitte di diagrammi cartesiani e di tabelle numeriche, sulla fecondità degli empolesi e sul movimento demografico nel quadro socio-economico del XVIII secolo, disegno — purtroppo — interrotto da una sorte nefasta.
La presenza di Mario Bini negli organismi di promozione culturale di cui Egli fu « magna pars » (alludo in particolare alla Pro Empoli ed al Rotary Club) ha segnato una tale traccia che quasi si ha l’impressione — dopo la sua dipartita — che questi sodalizi non siano più gli stessi.
Senza Mario, alla Pro Empoli, non sarebbe stato possibile organizzare le celebrazioni di Farinata degli Uberti nel 1960 e la mostra sul Salvagnoli nel 1961; l’esposizione storico-iconografica sugli sviluppi urbanistici di Empoli nel 1969, ottocentocinquantesimo anniversario della cosiddetta donazione della Contessa Emilia, atto di nascita del definitivo insediamento abitativo e giuridico-territoriale che costituirà l’embrione del futuro « castrum Emporii »; la rassegna « rétro » Empoli ieri, nell’autunno del 1978, densa di preziose rarità fotografiche a cavallo fra Ottocento e Novecento da Lui pazientemente scovate, ordinate, catalogate ed esposte con finissima grazia estetica.
E fu motivo di vera amarezza — pochi mesi prima della sua morte — dover rinunciare, per la colpevole avarizia del funzionario che negò qualche spicciolo, alla divisata sezione empolese della mostra medicea, di cui aveva già predisposto uno stimolante progetto, completo in ogni particolare.
A questo rincrescimento si aggiunse, nel contesto della esposizione fiorentina del Forte di Belvedere, il personale disappunto per l’infelice collocazione assegnata al meraviglioso plastico raffigurante la Empoli del Seicento, realizzato da Mario Bini con la qualificata collaborazione artistica (più che artigianale) di Renato Paci come pezzo forte della suggestiva rievocazione iconografica del ’69.
La Pro Loco, com’era vista e diretta da Lui, non aveva certo finalità folcloristiche e festaiole del tipo « sagra della fettunta », ma doveva servire da organismo propulsore di ogni seria attività culturale nella nostra città.
Se Mario Bini, invece che a Empoli, avesse operato in qualche istituto universitario o in qualche centro urbano di maggiore rilievo socio-culturale, ritengo che la sua esasperata riservatezza non lo avrebbe potuto salvare da una rinomanza mai ambita, pur nell’intima consapevolezza dei propri meriti e del proprio valore.
Quanto sdegnava la mondanità, tanto amava la sua piccola patria. A nessun prezzo si sarebbe fatto incantare dagli orpelli di una notorietà che lo distraesse dal proprio lavoro, pago di servire nel quadrangolo murato della sua Empoli, fra la sua gente.
« E che ci si può fare se siamo nati a maneggiar passetti? » scrisse, parafrasando il suo Ippolito Neri, nel corsivo d’apertura di uno dei bollettini rotariani da Lui redatti.
Era un uomo problematico.
Nemico di ogni civile discordia, mediatore di antinomie e sprezzante verso le faziosità politiche, era misoneista senza essere reazionario, progressista senza essere rivoluzionario.
In Lui questa contraddizione era solo apparente e la risolveva non con un qualunquismo di bassa lega, ma col diuturno impegno del cittadino rispettoso delle altrui opinioni e delle giuste istanze di una società in fermento, democratico nella più elevata accezione del termine, anche quando l’analisi realistica degli avvenimenti lo induceva a un puritano distacco dalle cose della politica attiva, di cui mal sopportava gli intrighi e le alchimie.
Il suo acuto senso della storia alimentava, in senso guicciardiniano, la sua totale sfiducia nelle palingenesi e nelle panacee universali.
Aveva in antipatia la figura dell’intellettuale integrato e militante, che definiva — senza mezze misure — come lo « scurra principis ».
In rari momenti di confidenza, favoriti dalla quiete notturna animata solo dal chioccolare della fontana di piazza dei Leoni, Mario non mi faceva mistero delle sue nostalgie, passabilmente oniriche e libresche, per i tempi mitici del primo Leopoldo e dei pionieri della nascente borghesia empolese: i Salvagnoli, i Bini, i Del Vivo, i Vannucci, « homines novi » che crearono la moderna Empoli e le conferirono una duratura immagine di laboriosità e di sagacia imprenditoriale, non disgiunte dall’onestà adamantina nel governo della cosa pubblica.
Ricordando Mario Bini non si può pretermettere la lezione che ci viene dal suo esempio di uomo, di cittadino, di studioso.
È una lezione che va raccolta e messa a frutto con umiltà, ma anche con decisione.
Il massimo onore che Gli si può rendere è quello di continuare degnamente il lavoro da Lui avviato e condotto, anche se non sarà semplice né facile uniformarsi al suo passo ed elevarsi al suo livello.
In ogni modo, quali che siano le nostre possibilità e le nostre forze, non mancherà l’impegno.
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