Nell’ottavo centenario della fondazione di Empoli

Dal Piccolo, 21 dicembre 1919

 

Trascrizione di Andreina Mancini

 

    L’anno 1119 volgeva al tramonto e gli Empolesi, ai quali a cagione delle guerre era distrutto l’antico castello nel luogo appellato Empoli vecchio, da Emilia moglie del Conte Guido Guerra ottenevano col consenso del marito la facoltà di edificare il nuovo castello intorno alla non lontana pieve di Sant’Andrea. La formazione del nuovo paese ci testa, scrive il Cantù, « del come si formassero le borgate attorno alle chiese un bel documento. »

    L’istrumento di concessione siffatta, da me ritrovato, fu rogato in Pistoia dal Notaro Gualberto nel dicembre del 1119. Con esso si accordava a tutti gli abitanti dell’antico castello sparsi nei castelli, nei borghi e nelle ville di edificare presso alla pieve, ed a tale intendimento si elargiva loro un appezzamento di terreno per costruirvi l’abitazione. Inoltre si prometteva di difendere le case e qualora per un motivo od un altro forse accaduto che esse venissero abbattute, i coniugi che avevano fatto quella concessione, senz’altro le avrebbero riedificate. Il pievano poi era costituito custode e preposto del castello ed era vietato a chicchessia fabbricare nella terra e nel suo borgo chiese, abbazie, monasteri, conventi e somiglianti cose senza il consenso di lui.

 

     L’ istrumento  si conserva nella Pinacoteca dell’ Insigne Collegiata di Empoli ed è di questo tenore:

   « In Christi nomine. Breve ampliationis futurae  memoriae retinendum, qualiter factum est in civitate Pistoria, in Camera Guidonis Comitis, Bonorum Hominum praesentia, quorum subter leguntur nomina.

    « Imillia  Comitissa, uxor Guido Guerrae Comitis, cum consensu, et data licentia predicti viri sui, investivit Rolandum Presbiterum custodem et prepositum Plebis S. Andreae de Imporii //se in omnibus observatura sacramentum, quod quondam Guidoguerra vir suus Imporio [scritto a penna sulla mia copia da Emilio Mancini]// juravit presentia Drudori et Gualkerii gg.ll filii Bosi et Ugoni Carbonii Notarii filii quondam Teuderici, et aliorum quamplurium; scilicet quod ab illa hora in antea usque ad cal. Madii proxime ventura omnes homines  Castellani, qui habitant modo in aliis Castellis de  Imporii et in  Cittadella, et in Burgis et in Villis faciant  per habitandum venire, et inibi semper habitare  ad praefatam Plebem Sancti Andreae, dando unicuique  casalinum ubi eorum  casas aedificent et Castrum aedificare  sua presentia, vel suae praedictae uxoris vel alterius hominis​  presenti​ vice eorum  facient, et  post factum donec vixerint, non destruent,  vel destruere  consentient vel permittent. Et  sì evenerit quod ab hostibus vel a Rege vi vel alio modo destruator, inibi post dies quindecim  reaedificare facient, et nullam Ecclesiam nisi praefatam Plebem in praedicto  Castro vel in Burgo ejus aut a​bbatiam vel cenobium, sive cellam monasterii non facient aedificare vel consentient nisi communi consilio predicti Rolandi plebani et de  successoribus suis, aut in tota distritione, vel parrochia dicte plebis. Haec omnia, ut supra legitur  Guido Guerra  pro se et  pro uxore sua adimplere juravit, et observare, nisi remanserit pp.impedimentum suae mortis vel uxoris, aut pp.impedimentum pensionis vel  infirmitatis observabit ita.

    « Preterea communiter investiverunt predictum Rolandum plebanum comes et comitissa et firmiter in perpetuum statuerunt in predicta plebe, ut omnes res mobiles et inamovibiles terras et vineas aliarum ecclesiarum, scilicet ecclesia Sancti Laurentii, et Sancte Mariae et Sancti Donati et Sancti Mammae et Sancti Michaelis et Sancti Stephani et Sancti Cristophori Bernadori et Sancti Iacobi et Sancti Petri et Sancti Martini de Vitiana et Sancti Bartolomei et Sanctae Mariae de Pagnana et Sancti Ruffini et Sancti Iusti et Sancti Simonis et Iudae ut de modo in antea sint in potestate praedictae plebis habendi, tenendi et ad utilitatem ecclesiae, quidquid voluerint faciendi, tamen si necesse fuerit in quantum potuerint ab omnibus defensandi. Haec suprascripta investitio facta est in praesentia Bernardori filii Lamberti et Alkeroli de Ripole et Ruberti de Ficeclo, anno Dominice Incarnationis millesimo nonodecimo, mense Decembri Ind. XIII.

Signum … manus suprascriptae Imilliae quae hoc Breve rogatu Comitissae scripsit »

 

     Si  ritiene  comunemente  che  il nome di Empoli derivi da Emporio. La qual voce, come  ognun sa, significa mercato, di guisa che tutte le diverse voci con cui negli antichi documenti è chiamato questo castello, non sono altro che diverse forme dello stesso nome. In un documento del 900 è detto Empulum; nella bolla di Niccolò II del 1059 Impolium; nell’istrumento di fondazione Imporium; in un documento del 1181 Impolium; nel 1247 Empoli; nel 1295 Empoli ed Empulum e nel 1331 Empoli. Qua pertanto doveva essere un mercato di grande importanza a segno tale che in quest’ultimo documento dell’anno 1331 il castello viene indicato senz’altro con il nome di Mercato de Empoli.

   L’anonimo scrittore della Storia della presa di Empoli, citata dall’eruditissimo Giovanni Lami, dice che la Pieve di Sant’Andrea di Empoli era appellata la Pieve al Mercato. Che poi qui fosse un mercato di gran rilievo non recherà meraviglia a chi ben conosce la bella posizione del paese e la fertilità del luogo.

    Gli Empolesi, ottenuta la facoltà di edificare il nuovo castello, che si deve essere formato in breve tempo, lo cinsero tutto di mura. Senonché questo cerchio di mura venne atterrato dalla terribile inondazione del 1333. Tre anni dopo, per ordine della fiorentina Repubblica furono ricostruite, probabilmente come le prime, vuoi nella estensione, vuoi nella forma rotondeggiante quali ci appariscono in una pittura del Trecento, da me ritrovata sotto uno strato di tinta  disteso in un restauro in una delle tavole, ove è dipinto il miracolo del SS. Crocifisso delle Grazie di Empoli, avvenuto in Val di Marina nell’anno 1399.

    La stessa Repubblica verso la fine del secolo XV fece costruire un nuovo cerchio, più ampio dell’antico, quale si vede nell’affresco di Palazzo Vecchio dipinto dal Vasari. Sulla porta Pisana, che sola rimane, è scolpita la data 1487.  L’architetto Ezio Cerpi ne ha disegnato e proposto un bel restauro, che ne ripristina l’antica forma. Ferruccio, in Empoli per la Repubblica Fiorentina, al tempo del celebre assedio, fortificò notevolmente le mura. Il Castello fu fortificato anche vieppiù da Cosimo I dei Medici. Oggi le mura e le antiche torri sono in gran parte atterrate.

   Gelosi difensori degli antichi privilegi in ordine al loro Castello, mostrarono quanto vi fossero attaccati quando gli Eremitani di Sant’Agostino presero ad edificare un convento fuori delle mura del borgo. Infatti nel 1295 essi avevano appena cominciato a gettarne le fondamenta senza licenza del pievano e del capitolo, e subito così fu loro vietato:

     « In Dei nomine amen. Anno a Nativitate eiusdem Domini millesimo ducentesimo nonagesimo quinto. Indictione octava, die nonadecima mensis Martii. Omnibus innotescat presentem pagina inspecturis quod presbyter  Iacobus Canonichus Plebis Sancti Andreae de Empoli florentine diocesis considerans et actendes  quod Fratres Eremitani Sancti Augustini costruebant et edificabant et construere et edificare incipiebant novum locum et ecclesiam ad ipsorum habitationem in Parrocchia (sic)  Plebis predicte extra Chastrum de Empoli prope foveas et muros ipsius Chastri contra Privilegia sedis Apostolice dicte plebi concessa et contra jus commune et  irrequisitis Plebano et capitulo dicte Plebis et in preiudicium  plebis eiusdem inhibuit dictis fratribus Vice et nomine capituli dicte Plebis ne in dicto loco constituerent Ecclesiam vel Oratorium vel eorum habitationem contra privilegia dicte  Plebis et eis per ictum lapilli novum opus denuntiavit proiciens lapidem unum et plures in fundamentum operis supradicti etc.

     Acta fuerunt haec extra Chastrum Empuli prope foveas in loco ubi fratres supra nominati locum seu Ecclesiam edificare iam ceperant et quando dictam Ecclesiam volebant facere consecrare presentibus testibus presbytero Gerardino Rectore Ecclesiae Sancti Iusti de Lucardo plebatus Sancti Planchatii (sic) et Guiduccio clerico filio magistri Venuti et Noffa Statii de Empoli et multis aliis ad hoc vocatis et rogatis.

     Et Ego Gerius clericus filius Ser Andree notarius de Empoli Imperiali auctoritate notarius predictis omnibus interfui et ea rogatus scripsi et publicavi»

 

    Tale documento si conserva nell’archivio capitolare delle Insigne Collegiata di Sant’Andrea di Empoli.

   Gli Empolesi furono grati ai conti Guidi, dai quali ripetevano la fondazione del loro paese. Essi anticamente furono soggetti ai Pisani ed anzi in un luogo appellato ” Pietrafitta” fra Empoli e Pontorme, si trovava il confine fra il dominio Pisano e il Fiorentino. La qualcosa veniva indicata da una iscrizione di questo tenore: « Titus Flaminius et  Titus Quintius consoles pisani hic  posuerunt fines civitatis et  comitatus  plebium dioces. pisanae.»

   Senonché nel 1015 si sottrassero alla dominazione Pisana e vissero a guisa di Repubblica sotto la protezione dei conti Guidi. Vero è che nel 1181 fecero atto di sottomissione alla Repubblica Fiorentina ma nell’atto di sottomissione a quella Repubblica giurarono di essere fedeli ai Fiorentini, salvo che contro il conte Guido.

      I castellani di Empoli, come erano stati fedeli ai conti Guidi, così lo furono pure ai Fiorentini. Infatti, quando Benedetto Mangiadori tentava di ribellare San Miniato alla fiorentina Repubblica nel 1397, e dopo averne ucciso il Vicario e gettatone il cadavere dalla finestra, invitava il popolo alla riscossa, Cantino Cantini  coi soldati di Empoli si recò a San Miniato  ed unitosi al popolo che non voleva sapere di ribellione, riuscì a costringere il Mangiadori alla fuga e rese vano il tentativo di costui. Né questa fedeltà fu minore quando l’esercito spagnolo cinse di assedio il castello. L’anonimo scrittore della storia della Presa di Empoli, che si trovò presente all’assedio, così narra;   «… fu dato l’assalto sul mezzogiorno dalle fanterie nemiche, alle quali dagli uomini della terra, valorosamente aiutati da quelli che v’erano rifugiati, fu fatta onorata resistenza, né fu minore il valore delle donne le quali tutte a gara pane e vino agli affaticati portavano per rinfrescarli, e sassi ed ogni sorta di armi per difenderli, animandogli a valorosamente operare, mostrando loro i piccoli figlioli e loro stesse per la salute dei quali e per l’onore loro dovessero la patria difendere e, sopra le forze loro gittavano gravi sassi, i quali d’alto venendo facevano non poco danno agli inimici ». Il castello per fermo non sarebbe stato preso e saccheggiato se due sciagurati empolesi, il Giugni e l’Orlandini, non avessero usato il tradimento.

    « La perdita del quale luogo, scrive il Guicciardini, afflisse più che altra cosa che fosse succeduta in quella guerra i fiorentini perché avendo disegnato fare in quel luogo massa di nuove genti, speravano con l’opportunità del sito, che è grandissima, mettere in difficultà grande l’esercito alloggiato da quella parte di Arno, e aprire comodità delle vettovaglie alla città che molto ne pativa ». (Storia d’Italia, lib. XX, cap.1)

   Se i motivi addotti dal Guicciardini rendevano il castello di Empoli caro ai fiorentini,  ve ne ha però un altro per cui il castello doveva esser loro in ogni tempo carissimo. In esso infatti nel 1260 i Ghibellini, vincitori dei Guelfi a Montaperti, si erano raccolti a congresso ed avevano determinato, come dice il Villani,  « di disfare al tutto la città di Firenze ». (G.Villani VI, 82.)

   Senonché Farinata degli Uberti, il prode e fiero ghibellino, si oppose a tutt’ uomo al folle divisamento, protestando che « se non fosse altri che egli solo mentre che avesse vita in corpo, con la spada in mano la difenderebbe insino alla morte » . Ond’è che l’Alighieri fa dire a Farinata:

      Ma fu’ io  sol colà dove sofferto

      Fu per ciascun di torre via Fiorenza,

      Colui che la difese a viso aperto  (Inf.C.X)

Il P. Manni delle Scuole Pie, parlando in un suo sonetto di Empoli, dice di esso:

Ove l’Uberti fè la gran difesa.

 

     La Pieve di Sant’Andrea, presso la quale fu costruito il nuovo castello di Empoli, ne fu certamente l’edifizio più notevole. Sappiamo che esso esisteva fino dal secolo V. Nell’anno 1093, vale a dire poco avanti l’edificazione del Castello, fu decorata della bella facciata, come viene ricordato dall’iscrizione che vi è scolpita. Questa facciata appartiene alla scuola romano-fiorentina, la quale ha il suo esemplare nel bel San Giovanni di Firenze. I monumenti di siffatta scuola sono pochissimi. Il tempio avea la snella forma di Basilica a tre navate. Ma nel secolo XVIII l’architetto Ruggeri sventuratamente alla forma Basilica le sostituiva la goffa forma quadrata che oggi con rammarico vediamo.    Nell’interno la Chiesa fu ridotta ad una sola navata. La bellissima finestra rettangolare della facciata fu murata e le fu sovrapposto un bassorilievo che rappresentava il martirio di S.Andrea patrono del paese. Si deve all’architetto Giuseppe Castellucci se con gli antichi frammenti, sparsi qua e là, oggi si è potuta ripristinare nell’antica eleganza.

  La facciata della Pieve formò l’arme dell’antico Comune di Empoli, che in seguito, unitosi in lega con Monterappoli e Pontorme, congiunse le armi di quei Comuni con la propria. Cessata la lega, riprese l’antico stemma e quando Pietro Leopoldo ebbe incorporato i due comuni a quello di Empoli, l’arme fu formata di nuovo come a tempo della lega. Secondo l’ultimo censimento  gli abitanti del comune nel 1911 erano 21.578.

     In Empoli fiorirono uomini illustri, quali ad esempio il pittore Jacopo Chimenti detto l’Empoli, ultimo della buona scuola fiorentina, il dott. Giuseppe del Papa, archiatro del Granduca di Toscana ed insigne benefattore del paese; Vincenzo Chiarugi, insigne freniatro, Mons. Giovanni Marchetti arcivescovo di Ancira, il proposto Giuseppe Del Bianco, l’avv. Niccolò Lami, autore col Puccioni e col professor Mori del celebre Codice Penale toscano, rimasto in vigore fino alla pubblicazione del nuovo Codice Penale italiano del 30 giugno 1899; l’avv. Vincenzo Salvagnoli, ministro degli affari ecclesiastici nel Governo provvisorio della Toscana.

     Per gli istituti di cultura e di beneficenza il paese può stare a fronte delle grandi città. Ricordo la R. Scuola Tecnica, il R. Conservatorio, le Scuole Pie, l’Accademia di Scienze economiche teorico-pratiche, l’Ospedale, l’Orfanotrofio femminile, l’Asilo infantile, il Collegio dei Visitatori del povero della Arciconfraternita della Misericordia, la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli ed il Ricovero per gli inabili al lavoro.

    Lo stesso si può dire in ordine al commercio ed alle Industrie. Vi sono la Banca d’Italia, la Cassa di Risparmio, il Monte dei Paschi, il Piccolo Credito, il Monte Pio e la Banca Italiana di Sconto.

     Le vetrerie, le fabbriche dei fiammiferi, le conce di pelli e mille altre industrie hanno reso questo luogo uno dei paesi più floridi della bella Toscana.

                                                                                          Dott. Gennaro Bucchi

 

Il Piccolo, a commemorare l’VIII anniversario della fondazione  della nostra città, si compiace e si onora di fregiare le sue colonne di questo articolo interessante e completo, che è dovuto alla penna del ch.mo  mons. cav. dott. Gennaro Bucchi e che compare anche dell’autorevole rivista Arte e Storia n. 8 e 9. Il disegno del  « Castello di Empoli nel Trecento» è stato tratto fedelmente dalla signora Flora Del Vivo dall’antica pittura che si conserva nella Pinacoteca dell’ Insigne Collegiata

                                                                     n.d.d.