EMILIO MANCINI

 

Il Piccolo 9 maggio 1920, n.14

Empoli nella cerchia antica

 

(Trascrizione da Il Piccolo di Andreina Mancini,  adattamento per il web di Paolo Pianigiani)

 

I

 

    E’ mio desiderio (ma non mi lusingo che sia di molti lettori) raccogliere in questa rubrica alcune notizie sulle vicende, alcuni dati racimolati qua e là, che, se tesoreggiati e collocati a posto dal futuro storico di Empoli, potrebbero nell’insieme costituire un modesto contributo alla storia della nostra terra. La brevità di questi fugaci appunti ne renderà forse tollerabile la forzata aridità; del resto leggere la storia non sempre è divertente neppure se si tratta di quella de’ nostri tempi…

Trovo un accenno al mercato di Empoli in due poemi villerecci, uno del ‘400, l’altro del 500. Nelle “Stanze di Meo di Valdelsa alla Tina da Campi”, idillio rusticale di Baccio del Bene (cfr. Miscellanea  Storica della Valdelsa, 1902, n.27, pag.33) si legge:

 

    A Campi, a Poggibonsi, a Sancasciano,

    a Castel Fiorentino, a San Donato,

    a Prato Vecchio, a Empoli, a Gagliano

    non è di me contadin più stimato…

 

Così dice il vecchio Meo vantando le sue virtù alla ritrosa Tina da Campi. Simile enumerazione  si trova spesso anche in Idilli anteriori. Lorenzo de’ Medici nella sua ” Nencia da Barberino”  fa dire al contadino Vallera:

 

    Io sono stato a Empoli al mercato,

    a Prato, a Monticelli, a San Casciano,

    a Colle, a  Poggibonsi, a San Donato,

    e quinamonte insino a Dicomano…

 

 e tanti altri paesi ha visitati, ma il più bel mercato naturalmente è quello di Barberino,  ov’è la sua formosa Nenciozza…

 


 

Leggo in un lunario del 1773 che in Empoli (che era uno dei 40 vicariati della Toscana) era vicario in quell’anno Ferdinando Beltramini e Notaro criminale Antonio Lorenzo Rasuri; nel 1776 vi era lo stesso vicario ed era Notaro civile e criminale Luitp. Giannotti.

     Nel 1828 reggeva il nostro Vicariato (di quarta classe) Donato Betti ed era Notaro Tommaso Fratini. In quest’anno copriva, dal 1823, la carica di gonfaloniere Mariano Bini, sotto la cui amministrazione – come a lungo discorro in uno studio che vedrà prossimamente la luce nell’ autorevole rivista fiorentina Arte e Storia –  venne eseguita la marmorea fontana di Piazza Farinata degli Uberti. Al Bini successe nel gonfalonierato il dott. Giuseppe Ricci. In quell’anno era gonfaloniere a Capraia Il marchese Cosimo Ridolfi.

 


 

Il Piccolo, 30 maggio 1920, n.16

II

 

Riprendendo le nostre modeste spigolature, pubblichiamo alcuni dati intorno all’incremento della popolazione nella nostra terra in vari tempi.

 

Nell’anno 1790         abitanti 3574

                1807                      3774

                1817                      4272

                1827                      5032

 

Il celebre Dizionario del Repetti (1833) ci offre il numero degli abitanti della Comunità di Empoli in tre diversi secoli:

 

nell’anno 1551       abitanti    4.910

                      1745                             7.169

                      1833                           13.095

Nel 1881 aveva già raggiunto il 17.530 abitanti

 

E poiché sono a sciorinare cifre, ne aggiungo qualche altra per determinare la posizione geografica di Empoli: essa è compresa fra il 10°55′ di longitudine est dall’osservatorio di Greenwich ed il 43° 43′ 2″ di latitudine nord.

Nel volume che il Giglioli dedicò a Empoli artistica (Firenze, Lumachi, 1906, p.30)  si riferisce che l’ornamento in legno fatto nel 1593 al nuovo organo della Collegiata fu eseguito dal maestro Jacopo di Battista Pagolini. Questo Pagolini o Paolini, intagliatore, sembra fosse di Castelfiorentino ed è da identificarsi con quello  che molto lavorò al soffitto della cattedrale Volterrana (cfr. Miscellanea Storica della Valdelsa, anno I, fasc.2°, p.98 e XIV, 3, p.224.)

Il Lazzeri, ponendo termine alla sua Storia, registra all’anno 1821 (gennaio) l’abbattimento di una delle quattro antiche porte di Empoli, posta a capo di Via del Giglio verso levante.

Aggiungiamo che nel settembre di quello stesso anno fu demolita un’altra porta ossia Il torrione che sorgeva a capo di via Ferdinanda (ora via Giuseppe del Papa). Questa porta, detta l’antica torre del Magnani, fu abbattuta mediante lo sborso di una somma alla famiglia Giani, che in quel tempo ne era in possesso, contribuendo in parte il comune, in parte possessori limitrofi con spontanee sovvenzioni.

    Il Torrione del Magnani, ossia quello per cui dalla Porta Pisana si entrava in Via Ferdinanda, si chiamava la Porta a Santa Brigida: l’antico portone riguardava il Monastero delle Monache Vecchie o di San Benedetto, situato fuori  di detta porta  in luogo  nominato alle Scorce. Inoltre Vicolo di Santa Brigida si chiamava quello che dalla ricordata antica porta conduceva lungo le mura all’altra porta a Ponente detta al Noce o del Noce, poi portone degli Alessandri. Tutto questo avanti che la Repubblica Fiorentina rifacesse ed ampliasse per l’ultima volta il cerchio delle mura.

     Nel settembre 1827 fu atterrata la Porta ad Arno e nell’agosto la Porta ai Cappuccini. Dopo la demolizione della Porta Fiorentina avvenuta nel 1839, resta soltanto la Porta a Pisa di antica costruzione.

Il dott. Robert Davidsohn, nella sua opera intitolata Forschungen zur Geschichte von Florenz (Ricerche per la Storia di Firenze) e precisamente nella seconda parte (Aus den Stadtbuchern und Urkunden von San Gimignano, Berlino, Mittler, 1900),  che è dedicata allo spoglio dei numerosi documenti sangimignanesi, ci presentò i regesti  di numerosi archivi toscani per il periodo che va dal 1217 al 1392. Si tratta di ben 2468 precise notizie di fatti espresse in brevi parole; se qualche avvenimento è più notevole il Davidsohn ci risparmia il suo tedesco e riporta il testo latino del documento. Il lavoro raccoglie notizie da ogni forma di attività civile, politica, artistica e commerciale. Siccome anche il nome di Empoli vi si legge assai frequentemente, il futuro storico della nostra terra deve tenere giusto conto di questa pubblicazione.

 


 

Il Piccolo, 13 giugno 1920, n.17

 

III

 

    La Repubblica di Siena cadde in potere del Duca Cosimo I dei Medici il 21 aprile 1555, ma già da molti anni l’astuto principe meditava l’ambizioso disegno di insignorirsi  dell’antica rivale di Firenze. Quando curò che si formassero le bande di armati nei vari castelli del suo dominio, in Empoli ebbe residenza il capitano delle milizie locali e delle vicine podesterie, compresa quella di Castelfiorentino, e vi si facevano le rassegne.

 Il capitano Ottaviano Piccardini l’11 giugno 1551 ordinava da Empoli che tutti i soldati della Potesteria di Castelfiorentino si trovassero il mattino seguente alla Scala, e il 13 dello stesso mese bandiva il divieto di partire dallo stato ducale, minacciando perfino la pena di morte, per impedire che i sudditi si arruolassero in milizie straniere, avvertendo tutti i soldati di tenersi pronti ad ogni chiamata.

Cause di tale allarme erano la venuta in Italia di Piero Strozzi, capo dei fuoriusciti repubblicani fiorentini, le minacce dei Turchi al litorale di Piombino, la costruzione della cittadella in  Siena. Pochi mesi dopo la chiamata venne fatta, e il 5 novembre il capitano Piccardini ordinò da Empoli che tutti dovessero fornirsi del corsaletto o corazza sotto pena di essere privati del privilegio di goder l’ esenzione da certi aggravi, secondo le leggi.

   Mentre le soldatesche medicee stringevano d’assedio Siena, il 17 gennaio 1555 Il Commissario Giovanni Bonaccorsi pregava da Empoli il Potestà di Castelfiorentino di mandargli la maggior quantità possibile di bestie da soma, trovandosi sgomento di non poter spedire il grano, che aveva pronto al campo. Comandante della banda di Empoli era in quel tempo Marcantonio da Rieti.

Pare che il Potestà di Castelfiorentino non obbedisse affatto all’ordine del Commissario empolese, il quale il 7 febbraio dovette per tale negligenza scrivergli una lettera di forte rimprovero: desiderava però che nella requisizione delle bestie da soma per il trasporto del grano non fossero presi i due muli delle monache, perché eran povere e si trattava di un luogo pio, che egli raccomandava anzi al Potestà avendovi dentro una sua figlia.

   Nel giorno stabilito giunsero solo sei bestie, onde il Commissario comandò che i disobbedienti fossero denunziati al Vicario. Due sudditi che furono imprigionati per questa stagione, vennero poi liberati dal Bonaccorsi stesso con l’obbligo di dare una mallevadoria di cinquanta  ducati d’oro e di prestare subito il servizio richiesto.

    Arresasì Siena, molti cittadini fecero un’estrema disperata resistenza a Montalcino; inoltre francesi e turchi avevan fatto uno sbarco a Piombino. Continuando quindi la guerra, l’8 luglio 1555 Giovanni Ficarelli, cancelliere della banda d’Empoli, ordinò una leva di soldati, che dovessero recarsi subito alla Scala. Dalla banda di Empoli disertarono in quei giorni Domenico di Batista fabbro, Nanni di Bondo, Piero di Francesco ed Antonio di Salvatore, i quali   per ordine del Vicario  vennero costretti  il 21  agosto a tornare  sotto le armi.  Anche

Montalcino, dopo ostinata resistenza, dovette cedere; così terminò la guerra che spense l’ultimo focolare dell’ antica libertà comunale Toscana (cfr. Michele Cioni, Castelfiorentino e la caduta della Repubblica Senese, in Miscellanea Storica della Valdelsa, 1897, n.13, pagg.168- 201). Abbiamo riferito queste notizie di storia cittadina tanto più volentieri in quanto Luigi Lazzeri, nella sua Storia di Empoli, dall’anno 1531  fino al 1557,  tace.

 


 

Il Piccolo 20 giugno 1920, n.18

 

IV

 

     Seguendo la traccia di un articolo di M. Cioni, pubblicato nel 1901 nella Miscellanea Storica della Valdelsa (anno IX fasc.2) oggi ci intratterremo sulle guerre viscontee combattute nel Trecento nel contado tra Empoli e Castelfiorentino.

     Il primo intervento dei Visconti di Milano in Toscana fu nel 1325, quando Azzo, figlio di Galeazzo, viene in aiuto di Castruccio Castracani, che portava guerra alla Repubblica di Firenze. Ad Altopascio il 23 settembre il condottiero lucchese batté duramente l’esercito nemico e invase il territorio fiorentino. Moltissimi dei nostri furono fatti prigionieri, e l’abate Giovanni Lami ne ricorda 21 da Empoli, che tra i castelli forse soffri i maggiori danni, altrettanti da Pontorme, otto da Monterappoli.

Le schiere lucchesi desolarono le terre dello Stato avversario largamente, ma in special modo da Pontorme fino alle porte di Firenze, tanto che Giovanni Villani (Croniche IX, 319) riferisce che ” il Contado di Firenze in verso Ponente, ove Castruccio  guastò  e corse, rimase tutto deserto,e le genti scampate rifuggite in Firenze, per gli disagi ricevuti v’addussono infermità e mortalità grande, la quale si appiccò a’ cittadini”.

     Nel 1326, passato l’Arno per la via di Vinci, Castruccio occupò il 5 aprile il castelletto di Petroio, donde molestava i dintorni: solo il 25 giugno, temendo la venuta del Duca d’Atene, lo distrusse e si ritirò. Nel maggio del 1328, la repubblica di Firenze, proseguendo a lottare  contro Castruccio, riacquistò la Lastra, Signa, Montelupo, Empoli e San Miniato, sebbene rimanesse sconfitta sull’Arno, donde Carlo Duca di Calabria, figlio del re Roberto D’Angiò e duce delle forze fiorentine, insieme con Michelangelo Falconi e Taddeo degli Albizzi, commissari fiorentini, scamparono con la fuga a Empoli. In quell’anno 1328 Castruccio  morì.

   Nel novembre del 1341, mentre milizie di Luchino Visconti aiutavano i Pisani nell’assedio di Lucca, una forte schiera, allontanatasi di là, corse fino a Montelupo guastando il paese, e sotto il comando di Ciupo degli Scuolari, evitando Empoli, tornò nel Lucchese. Erano con quelle soldatesche alcuni fuoriusciti, tra cui Angiolo e  Giramonte Frescobaldi e Rosso da Samontana pure dei Frescobaldi.

   Gravi danni sofferse il territorio  Empolese anche quando  Bernabò Visconti dal 1369 al ‘71 tentava di estendere la sua potenza in Toscana. Empoli infatti, dove a cagione dell’assedio della ghibellina San Miniato, solevano concentrarsi le truppe, vide presso le sue mura accamparsi la Compagnia dell’ inglese Acuto e patì forti perdite nelle persone e nelle robe, cosìcché potè ottenere, come ricompensa dal Comune di Firenze, alcune poche esenzioni da nuovi balzelli e spese di approvvigionamenti militari.

    Più fiera lotta dovette sostenere nel 1390 la Repubblica di Firenze con Gian Galeazzo Visconti, detto il Conte di Virtù. Conduceva le forze fiorentine l’Acuto, che ebbe a porre il campo tra Montelupo ed Empoli, quelle viscontee Jacopo dal Verme. Queste ultime, dopo lunghe e rovinose scorribande, conquistarono, derubarono ed arsero il castello di Canneto, nel nostro territorio, uccidendovi uomini, donne e fanciulli. Poi evitando Empoli e saccheggiando solo le campagne, si ritirarono in Valdinievole dove sotto il Monte Vettolino  furono sconfitte da Giovanni Acuto.

 


 

Il Piccolo 4 luglio 1920, n.19

 

V

 

     Come è noto, l’avv. Niccolò Lami (1792-1863), illustre giureconsulto Empolese che fu ministro di Leopoldo II, nel Gabinetto Baldasseroni, dopo il 1859, ritiratosi a vita privata nella sua patria, tradusse  le Puniche di Silio Italico in sciolti italiani. Di tale lavoro resero conto il dott. Vittorio Fabiani nel Bollettino di Filologia classica (n. 9, marzo 1906) ed il dott. Corrado Masi, prima nella Nuova rassegna bibliografico-letteraria (n. 12, dicembre 1905) e poi in un opuscolo pubblicato nel 1909 (Nugellae, per le nozze Ragionieri-Lami, Tip.Traversari).

L’amico Masi esprimendo il desiderio che della traduzione del ministro toscano venisse pubblicato almeno qualche passo scelto, manifestava il rincrescimento di non aver potuto rintracciare un opuscolo nuziale in cui era stato dato un saggio del poema latino tradotto dall’ultimo Ministro di Grazia e Giustizia del Granduca lorenese.

    Il rarissimo opuscolo mi è capitato qualche tempo fa nelle mani. Fu pubblicato a Padova, dallo stabilimento Prosperini, nell’ottobre 1876, per le fauste nozze De Lazara-Zigno, e contiene una lettera-prefazione dell’editore che è fratello dello sposo  la traduzione del libro XI ((924 versi) e di due brani del libro XIV, cioè la descrizione della Sicilia (114 versi) e quella di Siracusa (73 versi) con le annotazioni ai passi pubblicati.

     La prefazione avverte che col mezzo di comuni amici l’editore ha potuto dare alle stampe una versione che ” vedrà probabilmente la luce quanto prima per intero “: ” l’autore di essa, giureconsulto eminente, fu capo della Commissione dei tre che compilarono il Codice penale toscano da lui poi firmato come Ministro ”.

Gli eccellenti lavori del Lami in proposito trovansi depositati presso gli Archivi di Stato di Firenze, e furono altamente lodati dal Mittermaier, con cui il Lami ebbe frequente ed amichevole carteggio… Il Lami fu veramente uomo di bella e varia cultura: alla di lui mensa, dove quasi ogni giorno convenivano il Niccolini, il Poggi ed il Salvagnoli, non rare volte rallegrava la conversazione improvvisando versi nei quali predominava la finissima satira toscana”.

Il manoscritto della traduzione del poema di Silio Italico trovasi presso l’Accademia Empolese di Scienze economiche teorico pratiche.

 


 

Il Piccolo 11 luglio 1920, n. 20

 

VI

 

    Quando l’imperatore Arrigo VII, reduce da Roma, entrò ostilmente nel territorio delle repubbliche guelfe di Toscana, trovandosi circondato da numerose difficoltà, credette opportuno portare l’esercito a svernare a Poggibonsi (6 gennaio 1313). Le campagne all’intorno erano continuamente devastate dai suoi soldati. La notte dal 16 al 17 gennaio un grosso manipolo mandatogli dalla ghibellina Pisa abbandonò il campo imperiale, scendendo la Valdelsa per ritornare nella propria città.

I magistrati fiorentini, avuto sentore di questa mossa il giorno innanzi, spedirono lettere a Vanni Scornigiani  capitano d’Empoli, al potestà di San Miniato ed al capitano di Castelfiorentino, incitandoli ad assalire quelle soldatesche, in modo che non ne scampasse pur uno di questi perfidi ed antichi nemici, come essi dicevano. Essendosi, ai primi di marzo,  mosso Arrigo, per tornare nelle fide mura di Pisa, Giovanni de’ Rossi,  nuovo capitano di Empoli, prese a fortificare potentemente la terra.

Ma l’imperatore non si accostò a Firenze; tentò invano di espugnare  Castelfiorentino; ritiratosi poi a Buonconvento, vi morì il 24 agosto 1313, troncando le speranze dei Ghibellini e quelle dell’ Alighieri, che aveva sognato nell’ ” alto Arrigo” di Lussemburgo il restauratore del Sacro Romano Impero (cfr. M. Cioni, Castelfiorentino durante l’Impero di Arrigo VII, in Miscellanea Storica della Valdelsa, 1898, n.16, p. 105).

 

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   La “Notitia Status Hetruriae” è un importante elenco topografico delle città e borgate, anche le più modeste ed oscure  della Toscana, compilato poco dopo la metà del ‘300, secondo che esse appartenevano per sovrano editto all’Impero o alla Chiesa, oppure a singole repubbliche per concessioni imperiali e papali. L’elenco trovasi nella Biblioteca Palatina di Vienna, e fu già pubblicato dal Datt con non pochi errori. Ne trattò di nuovo Angelo Sorbelli nel 1917, (Memorie della R. Accademia di Scienze dell’Istituto di Bologna, serie II, t.1), ritenendolo preparato da un italiano per conto dell’imperatore Carlo IV.

    Ivi, fra le terre ed di castelli  ” de  comitatu  Florencie que sunt Imperii sacri “, sono ricordati Castrum de Empoli, Castrum Burghi de sancta Flore  o Santa Fiora, oggi Bastia presso il Ponte a Elsa, Sammontana, Monterappoli, Vinci, Granaiolo, Martignana, Castelfiorentino, Certaldo, Poggibonsi ecc.

   Ma queste Terre, sulle quali l’impero avanzava pretese, erano di già, di fatto, sotto il dominio di Firenze.

 


 

 Il prof Giuseppe Rondoni, esaminando le manoscritte Cronache del Convento domenicano   dei SS. Jacopo e Lucia a San Miniato, riferiva che nel 1640- 41 vi divenne priore fra Pietro Paolo Marzi, il quale, fra l’altro, amante come era delle Arti belle, ” prese l’assunto di far lavorare in Firenze una nuova tavola dal Cavalier Corradi  in sostituzione di un’altra sconcia e rosa di un certo de’ Ridolfi da Empoli venduta per 18 scudi” (cfr. Miscellanea Storica della Valdelsa, 1904,n.32, p. 38.

 


 

3 articoli vari

 

1 (Fra libri e riviste)

 

Nel primo fascicolo di quest’anno dell’antica e apprezzata rivista Fiorentina Arte e Storia, che si pubblica in Empoli nella tipografia Lambruschini, il nostro Egregio collaboratore ed amico prof. dott. Emilio Mancini ha cominciato a dare in luce un interessantissimo studio su La fontana di Empoli e Luigi pampaloni scultore Fiorentino. Tale monografia, oltre che ravvivare il ricordo di un illustre scultore dimenticato, raccoglie dati e particolari curiosi sulla storia cittadina che va dal 1824 e il 1828.

 

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Il Piccolo 25-7-1920

 

2) L’ultima discendente di casa Neri

 

Apprendiamo ora soltanto che nell’aprile scorso moriva in Firenze in ancor giovane età Lorenzina Neri-Mirisola, ultima diretta discendente della casata a cui appartennero Ippolito, l’autore del San Miniato e Lorenzo Neri. Era figlia di Pietro Neri che fu l’unico figlio maschio di Lorenzo. Aveva il culto delle memorie, si interessò di quanto fu scritto intorno ai suoi Avi e si compiacque delle onoranze rese nel 1909 qui in Empoli al membro più illustre della sua illustre famiglia. Fu donna di non comune cultura, di indole mite e gentile. Lascia due figli e la madre: dei vecchi Neri non le sopravvive – crediamo –  che una zia, la signora Marianna, sorella di suo padre, maritata al sig. Cesare Batelli.

 

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Il Piccolo 15 agosto 1920, n. 23

 

  3)  Un grandioso progetto per la sistemazione idrica della Toscana.

 

   In una sala del primo ufficio della Camera, in seguito ad apposito invito, l’ingegner Angelo Omodeo ha esposto il suo piano di riordinamento idraulico del bacino dell’Arno. Erano intervenuti gli on. Gronchi,  Modigliani, Max Bondi, Corsi, Sighieri, Martini, Mancini, Brancoli, Negretti, Sarrocchi, Signorini, Merizzi e Stucchi.

Si tratta di trasformare il corso dell’Arno da torrentizio in fluviale regolare. A tale effetto la Chiana sarebbe immersa nel lago Trasimeno  ed opportunamente arginata. Il lago Trasimeno così arricchito funzionerebbe da bacino di rifornimento nel periodo di magra. A partire da San Giovanni all’incirca ogni 5 o 6 km, il corso dell’Arno sarebbe interrotto da chiuse con conche per la navigazione e ogni chiusa funzionerebbe da salto per i produttori di energia idroelettrica.

    Secondo l’ing. Omodeo la modificazione del bacino dell’Arno sarebbe assolutamente radicale perché la portata da un metro al minuto secondo in periodo di magra salirebbe di 30-40 metri cubi al secondo. L’ing. Omodeo calcola che i salti d’acqua potrebbero produrre non meno di 120.000 cavalli di energia. Secondo i dati esposti il costo dell’opera è preventivato in 600 milioni.

Il finanziamento sarebbe dato dalla vendita di energia idroelettrica, dalla tassa di navigazione e da un contributo, cui dovrebbero essere sottoposti comuni e province interessati, da costituirsi in consorzio obbligatorio. I presenti furono unanimi nel ritenere attuabile il progetto che trasformerebbe così profondamente la vita economica di tutta la Toscana. Durante la discussione furono chiesti dati e chiarimenti sulle questioni accessorie, sulle bonifiche di Fucecchio, della difesa di Pisa e della più intensa comunicazione per via d’acqua per il porto di Livorno e del bacino dell’Arno.

 

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Il Piccolo 5 settembre 1920, n.24

 

VII

 

 (Riprende la serie degli articoli su Empoli nella cerchia antica)

 

Nell’anno dell’assedio –  Notizie sull’ospedale –  La visita di Pio IX

 

     Antonio Domenico Pierrugues  nel 1897 pubblicò ( Firenze, G. Pellas) i ” Giornali del Principe d’Oranges nelle guerre d’Italia dal 1526 al 1530 (Sacco di Roma, guerra di Napoli, assedio di Firenze) con l’elenco dei gentiluomini della casa militare del principe e dei capitani, agenti ed ufficiali dell’imperatore del Papa nella guerra di Firenze.”

     In questo elenco troviamo registrati:

 

   ” il signor Sampetro, maestro delle artiglierie.  Diresse le batterie nell’assedio di Empoli  e di Volterra” (pag. 47)

   “Don Diego Sarmiento, colonnello degli Spagnoli accampati al monastero di San Biagio e sotto le Campora,  nell’assedio di Firenze; fu col marchese del Vasto all’impresa di Empoli e a quella di Volterra; morì nella spedizione di Tunisi nel 1535″ (pag.50)

 

    Credo opportuno ricordare che Costantino Castriota, paggio del marchese del Vasto, combatté a Gavinana e, da vecchio, fattosi frate, scrisse di quel condottiero la vita che si trova nella Biblioteca Nazionale di Napoli (pag.62).

    A proposito dell’assedio di Empoli sotto la data del 24 maggio,  nel diario dei Martiri italiani dal 1176 al 1870, scritto da Gabriele Fantoni, viene commemorato ” Tinto da Battifolle, distinto capitano fiorentino, caduto alla difesa di Empoli il 24 maggio 1530 “.

 


 

     Alle molte notizie che del nostro ospedale ci offre Luigi Lazzeri nella sua Storia di Empoli

(pag. 63 e seg.), credo utile aggiungere che l’edifizio, finito di costruire nel 1767, venne eretto  su disegno del  Mannaioni, architetto fiorentino, ed ampliato nel 1841 su disegno dell’ing. Pietro Rossini, architetto empolese, che appartenne anche all’Accademia dei Georgofili di Firenze.

    Certamente non sarebbero prive di interesse le Notizie sullo spedale di Empoli, che si trovano nella biblioteca dell’arcispedale di Santa Maria Nuova a Firenze, fra i numerosi manoscritti lasciati dal celebre psichiatra empolese Vincenzo Chiarugi. Poiché quest’anno stesso cade il centenario della morte del nostro concittadino, così benemerito dell’umanità, sarebbe opportuno esaminare quelle dimenticate Notizie  e darle alla luce per il maggior onore dei nostri uomini e delle istituzioni cittadine.

 

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   In un libretto formato di articoli tolti dal giornale fiorentino Il Giglio  ed intitolato “Descrizione del viaggio in Toscana del Sommo Pontefice Pio IX nell’agosto 1857” (Firenze, Tip.Brazzini e V. Ducci, 1857), si leggono del passaggio papale fra noi due brevi cenni. Sua Santità, nel giorno 24, doveva attraversare la nostra stazione, diretto a Pisa ed accompagnato dal Granduca e dal principe ereditario.

    A Empoli, ove si credeva si arrestasse il convoglio, erano già  riunite le autorità locali e le popolazioni accorse anche da molte miglia lontano, ma ne rimasero deluse perché il treno non si fermò. Fece sosta invece a San Pierino ove il vescovo di San Miniato​ stava attendendolo, e si calcola che più di 20.000 persone riempissero i campi e la campagna attigua al luogo da cui il Santo Padre compartì la benedizione, e quivi furonvi  applausi e dimostrazioni stragrandi​ di festoso giubilo e di devota riverenza (pag.22-23) ”.

    Ma Pio IX, nelle ore pomeridiane del dì 28, passò di nuovo dalla nostra stazione e ” dopo aver compartita la benedizione a molte e molte migliaia di persone che la sospiravano, ripartì con la ferrovia per Siena “ (pag.40 e seg.)

   A proposito del viaggio di Papa Mastai  in Toscana, mi viene in mente il noto epigramma con il quale un nostro illustre concittadino, Vincenzo Salvagnoli, ne salutò l’arrivo a Firenze. Leopoldo II andò ad incontrare l’ospite insigne fuori di Porta San Gallo e lo accompagnò in carrozza fino al Palazzo Pitti. Tale  solenne ingresso ispirò al Salvagnoli questi versi alquanto irriverenti:

 

Esempio di umiltà sublime e raro

Entrò Cristo in Sion sopra un somaro

Entrò in Firenze il suo vicario Santo

Col ciuco anch’egli, ma l’aveva accanto.

 


 

il Piccolo 15 settembre 1920, n.25

 

 VIII

 

Un lunario Empolese del 1844 –  L’origine dell’Industria dei fiammiferi in Empoli

 

    Posseggo un volumetto intitolato ” Lunario empolese per l’anno bisestile 1844 ” che rappresenta probabilmente il primo tentativo di stampa periodica fra noi, poiché esso annuncia di essere al terzo anno di vita. Venne  pubblicato dalla tipografia di Enrico Bertini. Sarei veramente grato a chi volesse farmi conoscere i lunari dei due anni precedenti o quelli eventualmente pubblicati in seguito. Dovrebbero essere pieni di interesse per la storia locale, se somigliassero a quello che mi è capitato tra le mani.

     Riservandomi di parlarne più ampiamente quando tratterò del giornalismo,  mi limito a riferire qui alcune brevi notizie. Secondo il censimento del 1842, la popolazione del Comune di Empoli era di 14.317 abitanti e nell’anno seguente di 14.532; la popolazione del paese di 6027 anime.

    Ma più interessanti sono alcuni “Cenni  sull’industria Empolese “, dai quali per oggi riporterò quelli che parlano dell’origine dell’industria dei fiammiferi, che tanto sviluppo ebbe poi in questo centro industriale.

     « In questo articolo  – scriveva l’anonimo articolista (pag.60) –  non può tacersi il nome dell’egregio sig. Filippo Barrier, il quale, istituendo in Empoli una fabbrica di fiammiferi, ha dimostrato quanto quel volere e fortemente volere encomiato dall’Alfieri, sia abile a respingere ogni ostacolo derivante dal mal talento degli uomini e dalla natura delle cose.

Questo benemerito cittadino in pochi anni ha portato la fabbrica dei fiammiferi a tal punto di perfezione che a torto si desidererebbe maggiore. Duecento individui dell’uno e dell’altro sesso, ed anche della più tenera età, lavorarono indefessamente per l’opificio, come oggetto di meraviglia visitato da tutti gli stranieri. Bello è vedere l’ordine che regna nello stabilimento, la disciplina dei lavoranti, la saggia distribuzione del lavoro.

Ed è in forza di una tale distribuzione, che dalla fabbrica di Filippo Barrier  si produce in ciascun anno l’ingente numero di 3 milioni di scatole di fiammiferi; che il troppo modico prezzo di lire 30 il migliaio danno un risultato di lire 90.000. L’istituzione di questa intrapresa commerciale prova quanto l’economia pubblica si connetta con la morale. E’ bene in grazia della intrapresa dei fiammiferi che la classe la più meschina ha trovato un onorevole mezzo di sostentamento; dovendosi dire per lode del vero che l’indigenza è un titolo per essere ammessi a lavorare nella fabbrica.

Una moltitudine di disgraziati ai quali viene dato lavoro, si affezionano a quello, detestano l’angoscia dell’ozio e finiscono con l’essere buoni cittadini. E’ vero che non sono mancati alcuni male-veggenti, i quali trattando della fabbrica di fiammiferi senza averla mai veduta hanno fatto rimprovero al solerte intraprenditore sull’ordine di disciplina onde sono retti i lavoranti. ma tali baie di tristanzuoli pedantuzzi mal si prestano ad una seria confutazione.

    Il gran principio della divisione del lavoro trova la più bella applicazione nella fabbrica di fiammiferi. Gioverebbe il dire per mano di quanti lavoranti è passato lo zolfino fosforico, prima che sia giunto alla perfezione. Tale divisione di lavoro, regolata dall’alta intelligenza del direttore, ha fatto sì che i fiammiferi di Barrier  si trafficano non solo in tutti i paesi della Toscana, ma pure anche in tutta l’Italia meridionale con lode non scarsa del valente intraprenditore ».

    Filippo Barrier era di origine francese; la sua moglie, rimasta vedova, si unì in seconde nozze con l’empolese Luigi Santini, al quale passò in proprietà la fabbrica.

 


 

Il Piccolo, 3 ottobre 1920, n.27

 

IX

 

Lo statuto di Monterappoli – Il centenario delle scuole comunali – La linea Empoli – Siena – 

Due Empolesi caduti nella Guerra del 59.

 

   Nella Miscellanea Storica della Valdelsa (1919, n. 78) il concittadino cav. can.co Angelo Latini cominciò a pubblicare ed a illustrare lo Statuto del Comune di Monterappoli, che si conserva nel R. Archivio di Stato di Firenze. Tali ordinamenti del vicino Castello rimontano al 24 gennaio 1395. La pubblicazione dello Statuto è stata ripresa nel fascicolo 80- 81, e sarà continuata nei numeri seguenti.

 

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In queste modeste note di cronistoria cittadina, non voglio lasciar passare inosservato che nel 1820 furono aperte in Empoli  le Scuole Comunitative, nel locale del soppresso convento degli Agostiniani, con gli assegnamenti che Il Granduca Ferdinando III di Lorena aveva resi al Monte Pio, e con altri fondi precedentemente assegnati alla pubblica istruzione.

 

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    La ferrovia da Empoli a Siena –  già detta la Centrale Toscana, mentre la linea Firenze – Livorno era chiamata Leopolda – fu concessa ad una società anonima con motu proprio granducale il 5 giugno 1845. Principale tra i promotori fu il conte Generale Luigi​ Serristori, che era governatore di Siena e ideatore,  direttore della ferrovia fu il prof. Ing. Giuseppe Pianigiani.

Il primo disegno era di allacciare la nuova linea alla Leopolda presso l’Osteria Bianca. Poi fu proseguita fino al nostro paese; di poco fu superata la spesa prevista in 10 milioni di lire toscane. La lunghezza totale della strada è di km 63. 896, con una altitudine, a Siena, di metri 310, 96, ed in Empoli di metri 27,49. La linea fu inaugurata il 14 ottobre 1849.

Queste notizie per la maggior parte ho desunte  da un libretto intitolato Viaggio in strada ferrata da Siena ad Empoli, pubblicato dal cav. Giovacchino Losi, (Firenze, 1872), e contenente anche ragguagli su Empoli non trascurabili benché per lo più attinti dal noto Dizionario dei Repetti.

 

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In un periodico fiorentino redatto da Pietro Thouar, cioè nelle Letture di famiglia (Aprile 1860, t.1, n.10) e precisamente in alcuni cenni biografici scritti da Mariano D’Ayala sui

 ” Toscani morti nelle battaglie del 1859 “, trovo ricordati due  empolesi, dei quali mi piace qui rinnovare la memoria, riferendo le parole stesse del vecchio periodico educativo, per il quale numerose e utili pagine dettò anche il nostro concittadino Lorenzo Neri.

 «  Ciampolini Demetrio, giovinetto nativo di Empoli, orfano dell’uno e dell’altro parente Luigi e Annunziata, vivea di onoratissime fatiche nella cartoleria, e preferì a ogni dovere e ad ogni affetto verso due carissime sorelle e verso il cognato la patria dolcissima e anche nel 1848, freschissimo di anni, provò ad andare alla guerra e fece le prime marce.

Entrò nella quinta Compagnia del 3o  delle Alpi, sotto l’egregio soldato del Portogallo e delle Spagne, colonnello Nicolò Ardoino. Pugnò gagliardamente a Varese, e il giorno dopo, 26 di maggio, rimase a terra ferito al campo di Malnate. Era alto, bello, di capelli ed occhi neri, piacente, prontissimo affettuoso, laborioso. Io, che ne sono andato scrupolosamente ricercando le notizie, ho visto piangere parenti e amici, l’ho sentito con piangere da tutti” (pag. 530) »

« Pincuci...abbiamo raccolto fra le tante indagini il nome di cotesto bravo giovane empolese il quale secondo ci venne assicurato si iscrisse nella tredicesima compagnia dell’11º e rimase estinto sul campo di battaglia al Mincio nella sanguinosa giornata .(pag. 535) » .

 


 

Il Piccolo, 10 ottobre 1920, n.28

 

 X

 

 Vecchie vie di Empoli – Quanto costò il passaggio degli austriaci nel 1849 –  Il ponte

 

    Senza dubbio un lavoro fra i più interessanti e non ancora tentato dagli egregi ricercatori di memoria locali è la ricostruzione dell’antico stradario di Empoli.  Allo scopo di agevolare, sia pure di poco, tale compito a chi vorrà assumerselo, registro qui alcune vecchie denominazioni di vie cittadine.

Via Giuseppe del Papa era detta via Ferdinanda, dal nome del penultimo Granduca lorenese; via Ridolfi portò il poco lusinghiero nome di via degli Asini e  più tardi quello di via del Corso; via del Giglio era la via San Carlo, piazza Garibaldi si denominava, come si ode tuttora, Piazza Sant’Antonio o della Paglia, via de’ Neri era la via S.Agostino. Via Giudea si trovava  dentro le mura e doveva passare presso l’antico ghetto nella parte meridionale dell’attuale via Ridolfi sino alla Porta Giudea, poi Porta ai Cappuccini.

Non molto distante forse era la via dei Guiducci, che doveva trovarsi anch’essa presso le mura e il distrutto convento delle Benedettine. La piazzola che è Ponente di via Chiara si chiamava Pratello all’Olmo; oggi si distingue col semplice nome di Pratello.

Quella parte di via Ridolfi nella quale si trovava il soppresso oratorio di San Giuseppe ebbe nome conservatosi fino a poco tempo fa di quel Santo. Ricordo il Canto della Nunziata, il Canto del Pesce (credo in via Marchetti presso la Collegiata), il Canto dei Galli (ora Castellani) ed il Vico degli Zeffi, dal nome di un’antica famiglia empolese. Ma per oggi su questo argomento basti.

 

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Da alcune ” Illustrazioni allo stato di previsione per le spese dell’anno 1854 della comunità di Empoli”( Firenze, Soc.Tip. sulle Logge del Grano, 1854) – era in quel tempo gonfaloniere Niccolò Vannucci – si rileva che venne stanziata in uscita la somma di lire 3500 “per saldo al sig.Falagiani  delle 7000 imprestate nel 1849 per il passaggio delle Imperiali e Regie truppe austriache”. Ecco dei denari spesi bene.

 

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Il ponte sull’Arno è opera dell’architetto cav. Giuseppe Michelacci: è a tre luci eguali, sui gradi 90, con la corda di metri 26,23. Fu costruito da una società anonima, promossa dal Conte Piero Masetti, Amedeo del Vivo, Francesco Cinotti, Gabriello e Lorenzo Guidi Rontani e presieduta dal Marchese Cosimo Ridolfi. Il ponte, come si legge nell’iscrizione dettata dall’ illustre epigrafista pratese Luigi Muzzi, fu inaugurato ” con sacra solennità” il 12 agosto 1855.