Dal Piccolo di Domenica 14 settembre 1924 n.17  (pag.3)

In tema di “feste grosse”

 

A colloquio con uno che ne ha viste quattro:

Paolo Fabiani

 

 

Sotto il titolo:

Mentre s’ inizia la tradizionale settimana delle feste venticinquennali del Crocifisso delle Grazie. A colloquio con uno che ne ha viste quattro, l’egregio concittadino Sig. Umberto Cecchi pubblicò nel Nuovo Giornale  del 23 agosto u.s. una piacevole intervista, che ci consente, ora, di riprodurre sulle nostre colonne, con l’aggiunta di qualche battuta, perdutasì nel testo primitivo per la fretta della trasmissione. Si tratta di una pagina di cronistoria empolese rivissuta con giovanile vivacità e piena di particolari interessanti e simpatici.

Empoli, 23 agosto

    A corona dei numerosi pellegrinaggi compiuti dai popoli del Piviere e d’ altre parrocchie della nostra regione  per venerare il Crocifisso delle Grazie nella Insigne Collegiata di Empoli, s’inizia, ora, la settimana delle solenni feste venticinquennali: ed è un rifiorire di ricordi tra coloro che di queste ricorrenze, ne videro due, tre e persino quattro. Precisamente: anche quattro. Si capisce che la schiera di questi si è ridotta ai minimi termini: ma –  credetelo –  quando ci si imbatte in un uomo che, come il Sor Paolo Fabiani, a 88 anni o quasi, conserva tuttora lucida l’intelligenza e netta la memoria del passato, è un piacere trascorrerci in colloquio una mezz’ora.

    Galantuomo all’antica, negoziante (ora in riposo, si capisce) di probità esemplare, già Presidente solerte di Associazioni di carità, Cassiere negli Istituti degli Ospizi Marini e degli Asili infantili, Consigliere per anni del nostro Comune, alle cui Commissioni portò, sempre ascoltato, il contributo della sua esperienza, il Sor Paolo ci avrebbe avuto un discreto stock di titoli per essere fatto magari… cavaliere. Ma lui non se ne occupò mai, nessuno se ne occupò per lui, ed è rimasto appiedato come un fantaccino di fila qualsiasi: con sua grande consolazione del resto e con tanto di guadagnato per quel tipo di cittadino d’antico stampo che noi idealisti ci siamo foggiato in contrasto ed anche a scorno dell’arrivista moderno senza nessuno scrupolo ma, in compenso, con tanta imprudente e impudente ambizione.

 

   – Ci volevan le feste del Crocifisso –  mi dice sorridendo –  per farvi ricordare che esiste ancora questa cariatide da museo. Se mi rammento delle feste del ’44!  Capirete, avevo sett’anni o poco più ma mi par di vederlo ora il gran carro di  Montopoli, tutto fiorito d’angioletti… ero affacciato alla finestra di casa mia, al secondo piano dello stabile di via del Giglio, dov’è la Cappelleria Pagliai, e potevo benissimo scorgere quei bambini dalle ali d’oro, alcuni dei quali, quelli più in alto, piangevano perché il grosso maio, ch’era sul vertice, tentennando sbatteva le monete d’argento sulle loro testoline. Un quadro graziosissimo. Rammento un po’ in confuso gli altri particolari: antiporto della Collegiata, palco per il Vexilla, corse, fuochi d’artifizio, illuminazione a fanali, granatieri  col morione in servizio di polizia per il paese e di parata in chiesa, ai lati dell’altar maggiore, impettiti, imponenti e folla, tanta tanta folla… se va a ricercare qualche vecchio bilancio di quella solennità vi troverà di certo alcuni nomi che, allora, sentivo spesso ripetere in casa mia: di festaioli, di incaricati di riscuotere le offerte, di operai… lo stampatore Noccioli, il legnaiolo Borsellini, il muratore Maestrelli, a distanza di più che tre quarti di secolo, hanno sempre nella discendenza chi continua la loro arte e il loro mestiere. Sentivo rammentare Francesco Salvagnoli, Vincenzo Figlinesi, il  Cappellano  Giovannetti,  il Cappellano Tiribilli, Gaetano Castellani, Paolo Marioni, Niccola  Ancillotti, il Canonico Lami, il Cappellano Tofanari…  un nome mi rimase più impresso, forse perché di marca straniera: quello di certo Herpin  (Erpènne,  come diceva il popolo, pronunciando all’italiana o meglio ,… all’empolese), al quale, se non sbaglio, fu dato l’incarico di preparare i cartelli delle iscrizioni commemorative,  ché pare che fosse molto abile nel disegnare i caratteri. Faceva di professione lo scritturale; era una figura originale, caratteristica. Mi par di vederlo ora col suo paio di occhiali su quel nasone adunco, che gli aveva procurato Il nomignolo di “civettone”. Proposto era, a quei tempi, il Bonistalli, un empolese, non so se ha fatto osservazione che le feste grosse sono capitate sempre sotto il propostato di cittadini empolesi: Giuseppe Bonistalli nel ’44, Raffaello Sollazzi nel ’69, e Monsignor Bucchi  nel ’99  e ora nel ’24. Per ritornare a bomba: nonostante queste poche e frammentarie reminiscenze, ho serbato sempre la sensazione che quelle del ‘44 furono feste davvero solenni, non meno, per quanto in modo diverso, di quelle del ’69.

 

– Le feste del Carega,  vero?

 

– Precisamente.  Servì allora per le feste civili gran parte di quel materiale che  era stato adoperato in Firenze, per la cerimonia in onore dei novelli sposi Umberto e Margherita di Savoia, e forse anche –  ma non son certo –  per la commemorazione solenne del Centenario dantesco nel ‘ 65. Archi di Trionfo,  angioli colossali con trombe, arazzi , festoni… Il Campaccio fu ridotto un giardino. Musiche incantevoli in chiesa e fuori. Furono, allora, nostri ospiti il Mabellini, il Giavacchini, i fratelli Bimboni, lo Sbolgi. Anche a quei tempi faceva servizio in Collegiata la Pia Società di S. Cecilia e della Corale facevano parte alcuni nostri concittadini con buona voce, e, per di più, educata a ottima scuola: Guglielmo Pozzolini, Cesare Rutili, Nicola Bezzi, Dario del Vivo. Avesse sentito il Sor Dario che intonazione, che timbro vellutato e pastoso di baritono un po’ tenoreggiante!  E come diceva la musica! Uno di quelli, sa, che quando cantano fanno venire i broccoli... Alla processione, con l’arcivescovo Limberti ed altri prelati, prese parte anche il dotto Monsignor Bindi, allora vescovo di Pistoia e più tardi arcivescovo di Siena, che noi alla scuola di umanità e rettorica col Pini e col Cianchi, s’ era imparato ad ammirare e ad amare come perfetto commentatore dei classici latini nelle famose edizioni di Prato. Anzi, a dire la verità, prima che a scuola ne avevo sentito parlare dal mio zio Pietro Alderotti, Canonico della Collegiata e Parroco di Sovigliana, l’uomo d’ingegno e colto che fu, anche, il primo maestro di latino di Renato Fucini, come avrà letto in Foglie al vento tra i ricordi del nostro Tanfucio. Inutile aggiungere che il Bindi fu, tra noi, festeggiatissimo. C’era proprio una gara fra  gli organizzatori dei festeggiamenti religiosi presieduti dal Proposto Sollazzi e gli organizzatori di quelli civili con a capo Francesco di Carega Conte di Muricce, un forestiero che si era fatto empolese,  e che delle cose di Empoli –  si ricava anche dall’opuscoletto: Empoli e il suo Avvenire, pubblicato da lui, –  si interessò con amore di figlio.

– E si conservano ancora oggi memorie scritte di quella solennità?

 

– Sonetti, inni, opuscoli di occasione come si usa. Hai modo di ritrovarne qualcuno presso privati, e certo, nella Biblioteca Comunale. Io posseggo, su queste feste, un caratteristico sonetto inedito del fu dottor David Santini, babbo del dottor Gaetano. L’ha conosciuto?

 

– Appena

 

– Era più vecchio di me di un 7 o 8 anni., aveva preso parte, quindicenne, alla battaglia di Curtatone e Montanara, e più tardi, laureatosi, dopo di aver  esercitato la professione di medico a Monte San Savino e Santa Croce sull’Arno, era stato nominato in Empoli a quella condotta, che tenne fino al 1887 e in cui fu sostituito dal figlio Gaetano. Il Sor David, per inclinazione e per diletto, scrisse anche di quando in quando dei versi. E’ il caso di dire che i babbi dei gatti pigliano i topi…

 

 E, sorridendo, il Fabiani si accosta a una cassetta della scrivania e ne tira fuori un sonetto che è un dialogo in contrasto tra il Proposto Sollazzi e il Carega, chiuso, con uno spunto alla labindo, dal dottor Riccardo Del Vivo, altro egregio e noto cittadino empolese.

 

– Legga.

 

 ed io leggo e ricopio:

          Le feste

 PROPOSTO:

Vescovi, cento doni, il tempio mio

 sì ricco, suoni e canti sovrumani…

 è sol per lor da paesi lontani

 se un popolo concorse immenso e pio

 

CAREGA:

Le corse, i fuochi, i lumi furo: e s’io

per tutto non metteva piedi e mani

credimi a me, tutti i tuoi sforzi vani

serieno stati  e il popolo restio.

 

RICCARDO DEL VIVO:

Tacete entrambi. Forse non sapete

che ogni festa per dar vanto e splendore

unir sempre bisogna al laico il prete,

al mondo il corpo, al ciel la religione

ci sospinge: ché all’uomo il suo Autore

di creta e spirto fè stupenda unione.

 

    Copiato il sonetto, seguito a interrogare  il Fabiani sulle feste del cui Comitato fece parte e che, dilazionate in 5 anni, si aspettò a celebrare nel ’99  per farle coincidere con la ricorrenza del quinto centenario del “Miracolo del mandorlo”. Il qual miracolo,  secondo la tradizione, avvenne in Val di Marina quando nel 1399, il popolo, infuriando la peste, pellegrinò in processione di penitenza fino a quella località e, poggiato il Crocifisso ad un mandorlo secco, vide l’albero rivestito di foglie e di fiori, segno evidente del cessato flagello.

 

– Ma del ’99 si ricorda anche Lei, no? – mi obietta il Fabiani. Ciò non ostante passa in rapida  rassegna i solenni pontificali celebrati nella Collegiata: la mirabile omelia del celestiale oratore Mons. Pio Del Corona Vescovo di San Miniato;  la imponente processione per le vie della città con l’intervento del Patriarca latino di Costantinopoli; le belle Messe eseguite in quella occasione dalle varie Società Corali (e più specialmente la Messa  del suo compianto fratello m° Gaetano Fabiani, se non proprio di stile strettamente liturgico –  come oggi si esige per la riforma di Pio X – materiata d’alta ispirazione e magistralmente condotta); i concerti bandistici, la magnifica illuminazione, le splendide macchine pirotecniche…

 

   Mi sembra però che al mio interlocutore il quale, come tutti i vecchi, è un po’ laudator temporis acti, l’entusiasmo si affievolisca a misura che ci avviciniamo al presente. Ebbene rituffiamoci  ancora nel passato!

 

  –  Ma l’ha sentito dire che qualche bello spirito avrebbe pensato, per la circostanza, di rimettere su il “volo dell’asino”?

  – Che c’entra? il volo del ciuco, durato fino al ’61, si faceva tutti gli anni per il Corpus Domini. Non era uno spettacolo da giubileo e non aveva nulla a vedere con le feste del Crocifisso. Se hanno la possibilità di ricelebrarlo – aggiunge maliziosamente il mio interlocutore – stiano almeno attaccati alla tradizione. Così avranno anche il vantaggio di fare una buona selezione fra gli “aspiranti” che ora, ritengo, sarebbero moltissimi, potranno sterzarli per bene e, uno all’anno, contentarli tutti.

   – A capello. E poi per le feste di quest’anno non c’è bisogno di “attrazioni” sopra numero, perché vedrà, Sor Paolo, che saranno bellissime…

   – Non dico di no: ora c’è la luce elettrica, s’è fatto progresso in omni genere musicorum… Ma guardi che quelle del ’44 e del ’69…

 

    E le ultime battute del simpatico colloquio sono ancora una vivace reminiscenza di vecchie indimenticabili visioni…

 

UMBERTO CECCHI

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 Nel “Corriere di Empoli” del Nuovo Giornale del 4 settembre u.s. si leggeva sotto il titolo “L’appendice a un colloquio”:

 

“Ricorderete a proposito delle Feste venticinquennali  del SS. Crocifisso il nostro “Colloquio con uno che ne ha viste quattro” pubblicato nel Nuovo del 23 d’agosto. Ebbene, a feste finite, ho avuto occasione di incontrarmi di nuovo col mio intervistato, l’egregio sig. Paolo Fabiani, e gli ho chiesto: “Che ne dice? Qual è la sua impressione?” e mi ha risposto testualmente:

Grandiose come queste non erano mai state: da che sono al mondo non avevo visto mai tanta gente pigiarsi sulle lastre d’Empoli”…

“Vede, Sor Paolo, se avevo ragione di essere ottimista!”