Emilio, mio padre

di

Andreina Mancini

 

Emilio con un gruppo di amici, è il secondo da sinistra

 

Emilio nasce a Empoli il 14 ottobre 1883, quarto di otto figli. Qui frequenta le scuole elementari e ginnasiali. Ma per seguire le lezioni al Liceo Classico Dante (forse allora in via della Scala), deve andare in treno a Firenze; quando, promosso col massimo dei voti senza obbligo di sostenere gli esami, si iscrive al Regio Istituto di Studi Superiori, com’era chiamata l’Università all’epoca, ha come insegnante Guido Mazzoni, dantista e letterato famoso.

Nel 1909 il giovane professore neo laureato comincia subito a darsi da fare nell’ambiente empolese a quei tempi culturalmente molto vivace.

Insegna a Empoli presso il Collegio dei Padri Scolopi e inizia la collaborazione a  Il Piccolo Corriere del Valdarno e della Valdelsa, di cui è direttore dal novembre 1909 al gennaio 1911.

Interviene nelle pagine del giornale sotto diversi pseudonimi: si firma Attico, quando scrive articoli e commenti di genere artistico-letterario; Pinguino, se scrive pagine scherzose e leggere, Spigolino se vuole dare un tono polemico o pungente al suo scritto.

Nello stesso tempo fa ricerche soprattutto riguardo alla storia di Empoli e degli Empolesi e pubblica un gran numero di articoli su varie testate.

Nel 1912 si sposa; alla prima figlia viene dato il nome di Renata perché il suo padrino si chiama Renato: Renato Fucini, grande amico di Emilio nonostante la forte differenza d’età.

Quando Fucini passa a prenderlo a casa, in via del Gelsomino, dalla tromba delle scale lo chiama con voce potente “Professore…!”  E insieme a Vittorio Fabiani, Fabio Pandolfi, Tomaso Fracassini e altri uomini di cultura passeggiano per le vie di Empoli, discutendo di lettere e d’arte.

Intanto Emilio viene nominato segretario dell’Accademia Empolese di Scienze Teorico Pratiche, del comitato per le onoranze a Ippolito Neri, e anche consigliere della Misericordia di Empoli.

Nel 1914 insegna latino e greco a San Miniato, ma nel 1916 è richiamato alle armi. Sul suo stato di servizio si legge Caporetto, Monte Tomba, Piave, Vittorio Veneto…. Malgrado tutto, anche in zona di guerra ogni tanto gli arrivano le copie del Piccolo e riesce a scrivere qualche articolo per il giornale. Finalmente congedato, riprende l’insegnamento: Assisi, Belluno, Livorno…

Nonostante la lontananza da Empoli pubblica articoli e mantiene i contatti con le istituzioni culturali di cui è socio: ‘La Colombaria’, l’Accademia dei Sepolti di Volterra, l’Accademia degli Euteleti di San Miniato, la Deputazione di Storia Patria.

Soprattutto, dal 1920 al 1926 e poi dal 1933 alla morte, dirige la Miscellanea Storica della Valdelsa, seguendola attivamente anche da lontano.

Nel 1932 perde prima il figlio sedicenne e dopo poco la moglie. Rimasto ormai solo dopo il matrimonio della figlia, nel 1935 si trasferisce ad Aosta come Preside e poi come Provveditore agli Studi. Nel 1939 si sposa in seconde nozze.

Se guardiamo le sue foto ufficiali di questi anni o leggiamo le lettere alla famiglia lontana, nel periodo tribolato della seconda guerra mondiale, lo vediamo nelle vesti del funzionario pubblico in divisa che inaugura scuole e depone corone al Monumento dei Caduti, ma scopriamo anche che è il dirigente sensibile e attento che in un difficile dopoguerra aiuta gli insegnanti appena congedati a reinserirsi nel loro posto di lavoro, e che a dorso di mulo visita le scuole in paesi sperduti di montagna, perché “anche quelle maestrine e quei bambini lontani devono avere una visita del loro direttore”.

Nonostante le difficoltà pratiche e gli impegni di lavoro riesce a mantenere i legami con la città natale: anche da lontano continua a dirigere la Miscellanea mantenendo una fitta corrispondenza con i vari collaboratori della rivista.

Ma le sofferenze non sono finite: dopo l’8 settembre viene destituito e trasferito come preside prima a Padova e poi a Novara; la malattia comincia a  manifestarsi e quando infine la commissione di epurazione lo reintegra nel ruolo di Provveditore, – e nell’aprile del 1947 finalmente torna nella sua Toscana, a Lucca, – non fa a tempo a godere del trasferimento tanto desiderato: ormai sfinito, lavora per l’apertura dell’anno scolastico fino a mezz’ora prima di morire.

E’ il 6 ottobre 1947 e sta per compiere 64 anni.

 


 

Lettera di Corrado Masi a Vittorio Fabiani

 

Carissimo Vittorio, ho ricevuto ieri la partecipazione della morte del povero Emilio e mi sento ancora annichilito dalla terribile notizia. Morto Emilio! Non ci posso pensare, non posso rendermene conto, non posso abituarmi a saperlo scomparso per sempre. Caro e buon Emilio, compagno di tante lotte, fratello più che amico, col quale si poteva aprire il cuore con la certezza di una piena e larga corrispondenza d’affetti, di un’immediata e generosa comprensione, di

competenti apprezzamenti e di giudiziosi consigli: anima nobile, pura e schietta, cuor d’oro, coscienza rettissima, intelligenza potente e lucida, vastissima cultura nei più diversi campi dello scibile, e con tutto questo una modestia, una ritrosia a mettersi in mostra, un candore ingenuo, una congenita signorilità di sentimenti, di tatto, di gusti, che ce lo faranno sempre piangere e rimpiangere…

A presto, un’altra mia lettera. Oggi, con la pena in cuore, mi manca la forza di continuare …..E vogliamoci sempre più bene; siamo rimasti pochi, pochi. Un abbraccio fraterno,

Suo Corrado Masi.

 

(Archivio Mancini, Firenze)