EMILIO MANCINI

I giornali umoristici

I “numeri unici” empolesi

 

1922

 

ESTRATTO dal Piccolo d’ Empoli, anno XVII, nn.11, 12, 13, 14, 15.

 

 

Archivio Emilio Mancini, Firenze

Il pdf del volumetto presente nella Biblioteca “Renato Fucini” di Empoli

 

I GIORNALI  UMORISTICI

 

Queste brevi note intorno ai fogli umoristici di Empoli, buttate giù senza pretesa con altre che costituiscono certi miei Appunti e ricordi sul giornalismo empolese, vengono alla luce per prime quasi avanguardia più spedita e… coraggiosa che preannunzi la schiera, appesantita dalla politica, dei giornali seri e degli altri che, se talvolta movevano il riso, non lo facevano apposta.

Dalla Voce dell’operaio, il settimanale democratico di Ferdinando Gozzini, che iniziò la pubblicazione della Storia d’Empoli del canonico Luigi Lazzeri, sino alla Giovinezza fascista, corrono cinquantacinque anni, durante i quali ben ventisei periodici – salvo errore – nacquero fra le nostre mura, svariatissimi naturalmente per  colore politico, durata e importanza.

Tra  così  abbondante  manifestazione del« quarto potere » in provincia – fatta una piccola scelta – ci limitiamo ora a presentare i profili dei più… benemeriti, se è vero, come credeva il reverendo Lorenzo Sterne, che un sorriso possa aggiungere un filo alla trama brevissima della vita.

* * *

 Il primo periodico sorse fra noi nel 1867, e fu un giornale politico; secondo venne un settimanale umoristico, Chiappatutto « giornale serio-faceto-ridicolo » , che iniziò le sue pubblicazioni nella tipografia Guainai il giorno d’ Ognissanti del 1871. Ne fu direttore Tebaldo Cesari, orologiaio e poeta a tempo perso, spirito allegro, scrittore alla buona, di cui resta anche un volumetto di facili versi, scritti per lo più in occasione di nozze, di onomastici e di compleanni per amici o per mecenati. Egli così presenta il suo giornaletto:

 

« Amabilissimi lettori, a prima vista vi formerete cattiva impressione di Chiappatutto, ma assicuratevi che è un buonissimo diavolo, un diavolo senza corna, che non fa paura né male a chicchessia; alle corte, è uno di quei generi tagliati proprio all’antica, onesto fin che ce n’entra, vive e lascia vivere e cercherà di non caricarsi la groppa di pensieri, procurando sempre di sfuggire agli artigli dell’ amorosissimo fisco! Avanti, dunque, e il cielo ce la mandi buona! ».

 

E dopo aver promesso di « strombettare un po’ di tutto da far ridere a crepapancia il più misantropo abitatore di questa valle di debiti » e  di  voler  evitare  questioni personali « salvo piccole grattaturine da addirizzare il pelo » – prosegue: « Amico con tutti, rispetterà i partiti di qualunque colore, ma propugnerà sempre i diritti del popolo, l’istruzione e il progresso ». Come si vede, non faceva torto al proprio nome. Concludeva incitando i lettori a scacciare il granchio dal borsellino, perché il povero Chiappatutto aspettava la manna come gli ebrei nel deserto…

Gli articoli appaiono firmati da Mangiaebei, Tiribecco, Merlo e Ramino. Poi, sin dal terzo numero, da serio-faceto-ridicolo che era, diventò soltanto serio-faceto; infine, attenuandosi sempre più il faceto, si dette a propugnare l’ istruzione obbligatoria, a polemizzare con l’ Unità Cattolica e, arrivato col decimo numero alla fine dell’ anno, perduta ogni facezia, il 7 gennaio 1872 diventò nientemeno…. Il Progresso.

Resta dunque acquisito alla storia che il Progresso non è che il seguito di Chiappatutto, tanto è vero che esce dai torchi della stessa tipografia, costa parimente dieci centesimi,  continua  l’appendice  del  vecchio  giornale  sul « petrolio come  mezzo d’illuminazione » e porta sulla testata l’indicazione anno secondo.

Direttore però non ne fu più il Cesari, ma certo Pietro Senesi, il quale teneva in casa sua scuola serale di lettura, calligrafia, aritmetica, lingua italiana e francese per adulti e fanciulli e dava lezioni anche a domicilio. Probabilmente doveva esser quel tale dell’ istruzione obbligatoria. Ma di questo – come s’ intitola  con  un  certo  sussiego – « giornale ebdomadario », sarebbe irriverente parlare qui tra le amenità dei fogli umoristici…. Il Progresso infatti non fa ridere.

*   *   *

Il 1890 fu l’anno più fecondo di giornali empolesi. Nel febbraio vide la luce il Nuovo Ideale, « rivista di letteratura contemporanea e questioni sociali  »,  diretta dal prof. Francesco Macrì-Correale; un mese dopo la Striglia di Tebaldo Cesari, l’orologiaio-poeta che giå vedemmo in veste di pubblicista; nell’aprile la democratica Frusta di Enrico Petri, nel giugno il foglio goliardico Lo Studente, che durò due mesi. Evidentemente era nell’ aria odor di polvere…. elettorale.

Anche la Striglia, come il Chiappatutto di quasi vent’anni prima, nascendo il 9 marzo, si dichiarava giornale serio-faceto. Si stampava nella tipografia Guainai e nella testata riproduceva grossolanamente il panorama di Empoli. Il programma manifestava, come ogni programma che si rispetti, le più belle e generose intenzioni.

 

« La mancanza in Empoli – scriveva il Cesari – di un giornale, che principalmente si occupi delle faccende locali, ha solleticato l’ideale di alcuni benemeriti del progresso e dello sviluppo morale di questo paese per fondare un periodico settimanale….

Se qualcuno – è una semplice ipotesi – se qualcuno si fosse fitto in zucca di far servir la Striglia da portavoce per sfogare le solite bizze dei soliti partiti, mosse dai soliti odi e rancori personali, dalle solite invidiucce e gare d’ ambizioncelle locali, ha sbagliato di grosso, perché la Striglia si manterrà sempre nella più scrupolosa libertà e indipendenza.

Starà sempre lontana dalle lotte e dalle discordie, discuterà e striglierà con molta delicatezza, cavalleria e civiltà le persone a qualunque casta e partito appartengano, sempre però nella cerchia delle loro pubbliche attribuzioni, perchè la Striglia desidera di stare in pace con tutto il genere umano.

Propugnerà poi sempre la concordia e la fratellanza e non dimenticherà di additare al plauso tutte quelle persone cui germogliano in cuore sensi di vera liberalità e che s’ interessino sul serio per il bene materiale e morale degli operai, per la prosperità del paese…. Finalmente la Striglia non si scosterà dai principi costituzionali, ai quali si è votata, inalzando la gloriosa bandiera dell’ invitta Dinastia di Savoia che ha sempre pugnato per la prosperità e la grandezza della nostra Patria  ».

 

E perchè nel programma non mancasse la nota faceta, prometteva che la politica della Striglia sarebbe stata quella del « buonumore », perché gente allegra Dio l’aiuta. Una politica dunque preziosa e di cui sarebbe desiderabile ritrovare lo stampo.

Tra la pubblicità della quarta pagina il Direttore, da buon umorista, indicava il proprio negozio col titolo bizzarro: Manicomio cronometrico ed in appendice (n. 15) sciorinava vari cenni storici sull’ arte di fabbricare orologi sani e di rinsavire quelli malati….

Né trascurava gli interessi locali, poiché vi leggiamo articoli sulla famosa ferrovia Empoli-Pistoia, sui pubblici lavatoi, sul monumento a Garibaldi e simili argomenti che, incredibile a dirsi, non hanno perduto per niente di attualità.

 Col numero del 6 aprile il giornale aveva iniziato la pubblicazione di Iolanda o Il romanzo di due cuori, il quale all’ ottava puntata si fermò dinanzi ad un  « continua »  bugiardo come certi « pagherò » protestati…. Che era mai successo? Invano il Direttore alternò lusinghe e minacce per indurre il romanziere a proseguire il suo infelice racconto:

 

« Convinti – egli scriveva — che la malattia d’Iolanda sarà passeggera e che ritornerà presto ai vecchi amori, noi ci barrichiamo per ora nel silenzio; scioglieremo lo scilinguagnolo a suo tempo e quando saremo costretti a pubblicare in appendice altro romanzo ».

 

Ma Iolanda non si commosse, neppure quando il Direttore le cantò con la Norma:                  

O bella, a me ritorna

Dal fido amor primiero….

né quando il periodico imprese a pubblicare un nuovo romanzo: Olimpia l’Orfana. Veniamo poi a sapere che il narratore dei casi d’Iolanda era il prete Domenico Macry-Correale, che, dietro il modesto compenso di una dozzina di copie del giornale, si era verbalmente obbligato a dare la sua altrettanto modesta opera di romanziere.

Ma, avendo il Cesari ricusato di pubblicare uno scritto di lui, questi piantò in asso romanzo, lettori e direttore, il quale non è a dire se se la legò al dito.

* * *

Benché qualche volta faceta, la Striglia non manca di acredine e di violenza nelle polemiche, specialmente contro il Nuovo Ideale. Così, per esempio, se la prende col maestro Adolfo Scardigli, che sosteneva che Alessandro Marchetti, il dotto traduttore di Lucrezio, era nato nel castello di Pontorme, mentre il Cesari, o chi per lui, dava come luogo di nascita Empoli, ed aveva torto.

Più violenta è una polemica personale ingaggiata contro il prete, poi spretato, poi (come dire ?) rimpretato Domenico Macry-Correale (quello del Romanzo dei due cuori….) ed il suo fratello prof. Francesco, filosofo e poeta calabrese, il primo dei quali insegnò nel Ginnasio comunale e poi nel Collegio Calasanzio.

Causa  o  pretesto  della  polemica  fu  un  articoletto  del  Nuovo Ideale contro i collegi-convitti, scritto che la Striglia volle considerare come un atto d’ incoerenza e d’ingratitudine verso i Padri Scolopi, nelle cui scuole aveva insegnato Domenico Macry-Correale, fratello del direttore di quel foglio.

Questi si scusò col dire che solo per inavvertenza era stato pubblicato l’articolo, che doveva esser prima favilla di tanto incendio. La polemica, invece di quetarsi, andò sempre più inasprendosi. Il Cesari giunse a contestare ai due fratelli il diritto di portare il titolo di barone e il cognome dei Correale e perfino quell’esotica desinenza di Macry, sostituendola con una povera i qualunque: una vera strage!

La Striglia dedicò un lunghissimo articolo « all’ Ideale di foglio tanto per cominciare » e poi una lettera aperta allo studente Giuseppe Bettini, redattore capo del periodico antagonista, e poi ancora un’ altra al giornale reggino Il Ferruccio, sempre allo scopo di strigliare i due malcapitati insegnanti.

ln difesa dei quali, oltre il Nuovo Ideale, sorse anche il giornaletto quindicinale lo Studente. Esso riferisce che il Direttore dell’« insipiente foglio », il Cesari, si era rivolto alla redazione dello Studente ed a quella della Frusta, perchè s’ intromettessero per far cessare la polemica.

L’invito era stato accolto, dopo poche settimane altri attacchi erano apparsi sul « fogliucolo ricattatore, protetto dai pennacchi della benemerita ».  I  discepoli  del  prete  calabrese  spezzavano  infine  una  lancia  contro « i campioni della calunnia » ed un’ altra in favore del loro professore.

La Striglia, il 24 agosto, rispose pronta per le rime:

« Quel pezzetto di carta del neo-Studente di famigerate asinità, col rantolo della morte ha esalato i suoi ragli ed in quello stato di delirio ha sbertucciato la Striglia. Poveri bocciati, spincioni della stampa, la Striglia vi compiange! ».

Lo Studente, da autentico morto, non rispose. Ma anche la Striglia ebbe poco da compiangere: dopo un letargo di circa due mesi e mezzo, riapparve soltanto e per l’ultima volta, col suo 26o numero, il 9 novembre 1890, per sostenere, vigendo lo scrutinio di lista, le candidature politiche del barone Sidney Sonnino e dell’avv. Guido Scaramucci. Poi cessò di strigliare…. e d’essere strigliata.

* * *

Ed ora ecco che ci si para davanti un giornaletto dall’ aria sbarazzina, Il Lanternino, quattro grandi pagine piene di caricature e di pupazzetti e con articoli non privi di brio e di umorismo. Nella testata, disegnata argutamente dal prof. Mario Mazzinghi (Fiamma), annunzia di uscire due volte al mese, se gli pare, e diciamo subito che non sempre gli parve.

Il Io gennaio 1909 si presentò al pubblico empolese, che gli fece molta festa, anche perchè il primo numero venne dalla redazione generosamente messo in vendita a totale beneficio delle sventurate popolazioni calabresi e siciliane colpite dal terremoto.

La vendita del giornale, diffuso ed esaurito in un baleno dai giovani della società ginnastica Emporium, fruttò 128 lire, somma non sprezzabile a quei tempi, e così il Lanternino esordì dando il calore della sua modesta fiammella ad alimentare la grande fiamma della carità e della solidarietà umana.

A somiglianza del Travaso delle idee, specchio ed esempio di tanti minori confratelli  provinciali,  troviamo nell’angolo  destro della prima pagina la rubrica dei « membri illustrati », cioè dei componenti il Consiglio comunale di Empoli effigiati in caricatura.

Il primo che venne presentato alla pubblica ammirazione fu – ab Jove principium – il Sindaco, allora capitano, cav. Angiolo Vannucci, cui fecero seguito – dovuti alla matita infaticabile di Fiamma – i Signori cav. dott. Ugo Chiarugi, avv. Vitaliano Traversari, avv. Umberto Salvadori, comm. avv. Giovanni Lami, quest’ultimo disegnato da Alberto Manetti (Lucignolo), poi più noto in arte con lo pseudonimo di Brivido.

Nel primo numero risuona l’ eco di una polemica combattutasi fra i due giornali avversi, la Vita Nuova e il Piccolo, in seguito alla quale i socialisti avevano deliberato di astenersi dal frequentare le rappresentazioni dell’ Aida, che in quel tempo si dava al R. Teatro  Salvini.

Un  ampio  disegno  rappresenta  la  parodia  del  finale  dell’atto secondo dell’opera Verdiana. Il comm. ing. Paolo Del Vivo, console dell’Accademia dei Gelosi Impazienti, nella veste di re Faraone, circondato dalla corte dei signori accademici, dinanzi alla turba dei socialisti, sotto le spoglie dei guerrieri egizi ed etiopi, esclama solennemente:

 

Cessi dinanzi all’arte

Lo spirito di parte

E nuova pace arrida

Alla celeste Aida.

 

  Ritiratosi in buon ordine lo spirito di parte, la stagione teatrale, inauguratasi opportunamente con una serata a beneficio delle vittime del terremoto, si svolse felicemente senza incidenti né artistici né politici.

Il giornale era stampato nella tipografia R. Noccioli e litografato a Firenze. Si vendeva a dieci centesimi la copia. L’amministratore era Pietro Malarini. Vi scrissero in versi e in prosa Nino Bezzi, Dino Brogi, il dott. Gaetano Santini, Paolo Marioni e l’autore di queste note, il quale compose, fra l’altro, il primo articolo.

I disegnatori, oltre i già ricordati, furono il Brogi, il Marioni e Curzio Ceccherelli, valente scultore pisano, morto giovanissimo nel maggio del 1912.

La matita dei nostri caricaturisti, ispirandosi ad una saggia imparzialità, ebbe modo di mietere vittime in ogni campo politico e specialmente in mezzo agli artisti dell’Aida. Lydia D’ Arsago, per esempio, che incarnava la bruna figlia d’Etiopia, ebbe la sorte, or maligna, or benevola, di essere ritratta due volte e più volte ancora ricordata nelle pagine del leggero periodico, omaggio singolare di cuori molto sensibili al culto della bellezza.

 Ma un precoce soffio di morte spense l’arguto Lanternino, dopo che solo per cinque volte aveva accesa la sua brillante fiammella. L’ultimo numero apparve il 7 marzo 1909, giorno di elezioni politiche, presentando bravamente come suo candidato al Parlamento una nota figura paesana, con programma denominato livellista.

ln un bel disegno di Alberto Manetti i due candidati in lotta, il costituzionale marchese dott. Gino Incontri e il socialista prof. Giulio Masini, nella forma poco lusinghiera di burattini, si bastonano di santa ragione sul palcoscenico di un gran teatro di varietà.

Il simpatico foglio, dopo quella giornata elettorale, che fu favorevole all’ on. Incontri, – non si fece più vivo. Esso si può considerare il migliore, se non il più duraturo, periodico interamente umoristico compilato fra noi, sia per la ricchezza delle illustrazioni, sia per la vivacità e la varietà degli scritti.

E, quel che più conta ed è più raro, seppe evitare pettegolezzi ed antipatie e non lasciò debiti. Con tante virtù si capisce che non era nato per questo mondo….

***

 

 

Un nuovo giornale umoristico – al contrario del suo spento confratello, Il Lanternino (1909) – nonostante il titolo garbato e discreto, suscitò un vespaio di malumori, di proteste e di incidenti. L’È permesso?! si presentò al pubblico empolese il 12 aprile con la promessa di uscire, possibilmente, « ogni 360 ore  ».

Era edito dalla Tipografia Lambruschini e pubblicava numerose caricature, dovute la maggior parte al prof. Mario Mazzinghi ed alcune ad Alberto Manetti, a Dino Brogi (Scettico) ed a Luigi Morelli. Fregiavan la testata tre grandi righe che mutavan di colore ogni numero, metamorfosi che in alcuni giornali passa talvolta dalla testata al testo. Si componeva di otto pagine, del valore complessivo di due soldi. S’ intende, il valore commerciale.

Venne fondato da un gruppo di dieci giovani, ma vero animatore ne fu il prof. Mazzinghi, che qui troveremo nella duplice veste di disegnatore e di scrittore futurista. Ricordiamo come redattori principali Ferruccio Ferroni (num. 2), Dino Guainai (num. 3), Ubaldo Lilloni (num. 4), e come collaboratori Ugo Cinotti, Umberto Cecchi, Luigi Del Vivo, Nino Bezzi, Clara Gori-Fratini, che terribilmente si firmava La Sibilla d’Averno, Corrado Tafi, Ilario Scardigli, chi scrive queste note ed altri che avremo occasione di rammentare.

Come vediamo, era una vera pleiade di prosatori e di poeti, tra provetti e novellini; ma, avvertiva il giornale, « ogni scrittore esprime idee tutte sue. Solo una cosa ci accomuna: l’intelligenza ». Quando si dice essere modesti!

Il primo numero riproduce, come omaggio, il ritratto di Renato Fucini, « del Maestro che Empoli si onora di avere per cittadino e per ospite », pupazzetta il R. Commissario del Comune, cav. Emanuele Vivorio, pubblica le lettere (arieggianti quelle impareggiabili del lucatelliano Oronzo) di Raspino Radicchi, « ex candidato politico livellista » intorno a Empoli e ai suoi bisogni.

Era autore di questo epistolario il compianto, dilettissimo amico avv. Dino Guainai, che poi, capitano di fanteria, dopo aver affrontato per oltre due anni e da valoroso, nel Trentino ed in Albania, i rischi della guerra, venne colto da acerba morte nell’ospedale di Ferrara nel marzo del 1918.

Nel numero del 14 giugno, giorno del Corpus Domini, il Mazzinghi rappresentò lo storico volo dell’ asino, tradizione che nel giornale stesso viene illustrata da due articoli, uno dei quali dovuto ad un altro perduto, ottimo amico, Guido Antonio Manetti.

Appena raggiunto il sesto numero, il periodico, in un impeto di esultanza, scriveva:

« Sia noto dunque a tutti gli innumerevoli nostri lettori ed ammiratori che nessun giornale umoristico di Empoli aveva potuto toccare le ardue soglie del sesto numero. Noi le abbiamo varcate trionfalmente. Speriamo che dopo il sesto non venga il…. dissesto ».

Veramente il Chiappatutto le aveva passate quelle « ardue soglie »  ma nel 1871, al tempo del buon umore di Tebaldo Cesari, i nostri giovani non eran nati e nel 1915 non era ancora venuta ad alcuno l’idea balzana di esumare fasti e nefasti del giornalismo locale.

Non mancarono nell’ È permesso?!, che  « usciva e si ficcava tra la gente quando gli  pareva »,  le  caricature  ben riuscite  e  le  trovate  spiritose ed originali, sebbene non  di  rado  grassocce:  ricordiamo,  tra  le  più notevoli,  la  rubrica « In cerca dell’ argomento » ed il referendum sulla guerra.

Il Fabiani vi pubblicò, fra l’altro (ricordo la Ballata della resa, assai originale e graziosa), alcuni saporiti epigrammi e non so resistere alla tentazione di pubblicarne almeno un paio:

 

               – La moglie lo tradisce, ed egli tace

                 e sa portarsi le sue corna in pace.

                 E’ cosa tal ch’ io non me ne capacito….

                – E’ uno scolaro di Cornelio Tacito.

 

Quest’ altro è intitolato Obbedite alla legge:

 

                      Gigetto, che ha il cervello fino ,

                     briaco è ognor da’ piedi alla calotta

                     in ossequio al Concilio Tridentino

                    che dice « E’ ben che i preti sieno in cotta  »

                .

Aggiungo anche un epigramma di Giovanni Boeri, di cui il giornale ospitò un arguto Ercole furioso di sapore futurista:

 

Da vivi, che colpe, che torti!

ma ora hanno un merito grande

(però tanti lumi e ghirlande):

son morti!

 

***

 

Abbiamo detto come questo periodico fosse sorgente di baruffe e di screzi, fortunatamente incruenti, ma non poco rumorosi. Il primo alterco venne suscitato da una rubrica dall’intonazione macabra (un teschio adornava il titolo!), che in una « macelleria di carne umana a tutti i prezzi » (non c’era allora bisogno di calmiere!) « stroncava » con la delicatezza di un beccaio note figure cittadine scelte, per effetto di  contrasto  e  per  mostra  d’imparzialità,  negli  opposti  campi  politici.

Uno  dei « macellati », un rispettabile e quieto pensionato, si risenti fortemente col direttore del giornaletto e, in piazza, gli fece una scenata clamorosa. E uno!

La caricatura di una signora fu causa di una più movimentata baruffa e di una laboriosa vertenza cavalleresca, risolta pacificamente, della quale le colonne dell’È permesso?! e del Piccolo registrarono le storiche fasi. E due!

Ma non si contan più, quando, ad aizzare maggiormente contro il Mazzinghi le bramose zanne di tanti avversari, venne fuori la serie dei suoi scritti futuristi. Il pugnace artista dedicava una buona parte del suo giornale alla propaganda delle temerarie teorie marinettiane con una crudezza ed una libertà di linguaggio strabilianti. Inde irae!

Immaginatevi che il nostro bollente amico voleva intraprendere « la marcia della distruzione », si proponeva di abbattere tutto, compreso…. il giro d’Empoli, poverino!, voleva « sbaragliare con la dinamite intellettuale (!) l’esercito insidioso del tradizionalismo » e trionfante portare « le nostre artiglierie sulle più alte vette del pensiero umano ».

Altro che artiglieria da montagna!… Una volta espose l’autoritratto in stile futurista, capolavoro che, per gli occhi di un volgare passatista, poteva facilmente apparire, all’incirca, un ragno schiacciato dalla più profana delle scope; altrove si scalmanava a gridare: Abbasso l’onore, finzione delle donne, e sulle donne ne diceva di cotte e di crude.

Da buon futurista, esaltò la guerra « sola  igiene del mondo » e, negli ultimi numeri, scoppiata la conflagrazione europea, si dichiara risolutamente interventista.

Allo scatenarsi delle critiche più acerbe e delle minacce più manesche il Mazzinghi, rimasto infine quasi solo del giovanile decemvirato, tenne testa con ostinato coraggio.

Le maestre delle scuole elementari, più volte e più o meno salacemente punzecchiate, pubblicarono nel Piccolo una fiera protesta nella quale dicevano che, di fronte alle « insolenti sguaiataggini » dell’ È permesso?!, si appellavano alla pubblica opinione e, disdegnose di ogni polemica, si riservavano ogni diritto di azioni giudiciali, ecc. ecc.

Il prof. Mazzinghi rispondeva che non aveva tempo da perdere e che olimpicamente lasciava pettegolare sul conto suo.

Anche il Fischio, foglio umoristico fiorentino, in una corrispondenza empolese, dedicava alcune volgari allusioni al professore futurista, il quale, oltre a riprodurre tali insulti sotto la rubrica Sifonate allegre, si affrettava ad aggiungere, per chi non lo avesse saputo, che quel tal professore era proprio lui!!

Perfino un cappuccino, p. Carlo da San Frediano, predicando nella chiesa di S. Stefano contro la cattiva stampa, accomunò l’ È permesso?! e la Sigaretta, esortando tutti i fedeli cristiani a gettare gli empi fogli nel rogo dell’iniquità. Per ricompensa della gratuita pubblicità, il giornale gli fece il pupazzetto.

Anche una donna, fattasi paladina del suo sesso offeso, volle scrivere al caro Mario una lunga lettera, nella quale la femminile gentilezza era attenuata da certi graffi che, sebbene di rosee unghie, lasciavano il segno.

« Le tue ultime filippiche contro la donna – scriveva l’ignota – hanno sollevato l’indignazione pressoché generale. Ma perché ce l’hai tanto con noi? Si direbbe che con noi non hai avuto fortuna e che ti vendichi così ferocemente e, lasciamelo dire, anche ignobilmente ». Ed anch’ella si vendicava con questo gentil complimento :

 « ….Sorrido di voi Futuristi e di te specialmente, che di futurista vero non hai in fondo che la corporatura, eventuale modello al Creatore di una razza avvenire, che potrà a qualcuno essere simpatica, ma che non è bella davvero ». ln mezzo a così procellose acque, il Mazzinghi, rimasto solo del « consiglio dei Dieci », cercò di navigare tenacemente verso il porto radioso, dove brilla il futurismo trionfante. Non sappiamo se ancora sia arrivato a destinazione.

  L’inventore e corifeo del futurismo, F. T. Marinetti, non mancò d’ inviare al tenace propagatore del suo verbo in provincia il balsamo di un fervido incoraggiamento, scrivendogli:

« Ho ricevuto e letto con vivissimo piacere le vostre forti ed utili Pagine futuriste, con le quali avete iniziato un’energica propaganda in Empoli. Immagino le innumerevoli difficoltà, le barriere di cretinismo, i pantani di scettica inerzia pessimista, ecc. Voi avete l’ ingegno  ed  il  coraggio  necessario  per  affrontare,  sorpassare e vincere tutto ciò »

Nonostante l’alto plauso, il giornale, giunto all’11o numero, il 21 febbraio 1915, dopo aver gridato ancora una volta di non aver paura di nessuno, tacque per sempre, probabilmente con gran sollievo di molte signorine spaventate all’idea del pupazzo…. pochi mesi dopo, la lieta brigatella, quant’altra mai divisa dalle opinioni politiche, ma nell’amore di patria simpaticamente concorde, lasciò le lucenti rotative per il fronte dallo Stelvio al mare. Né tutti tornarono. Il valoroso nostro Mario, naturalmente, fu arruolato nel genio….


I NUMERI UNICI

 

Prima che se ne sperda il ricordo, credo opportuno dedicare almeno un rapido cenno  ai « numeri unici » che videro la luce in Empoli nelle più svariate occasioni, specialmente con scopo benefico. In questa parte delle mie modeste ricerche, spero che poco o niente mi sia sfuggito, forse perché si tratta di numeri più unici che rari… Intratterrò quindi i lettori, la cui pazienza, come la mia,  sarà messa a dura prova

dall’ aridità dell’ argomento, su sedici pubblicazioni uscite dal 1895 al 1922, cioè Charitas (1896), La FiammaI tempi nuovi e Ferruccio (1898), quattro numeri speciali pei pellegrinaggi religiosi a Montenero, a Lucca, a Firenze, a Empoli (1895-99), Tifeo (1905), il Vesuvio e La Pentolaccia (1906), il Mosconcino e Floralia (1907),  Il Richiamato (1916),  Scacciapensieri e Renato Fucini pubblicati nel 1922.

Ricordiamo per primo Charitas, « numero unico degli studenti empolesi », uscito il 2 gennaio 1896 pei tipi del Guainai. È in quattro paginette d’aspetto assai umile e preludia con Il trionfo de l’amore, versi martelliani di Luigi Mannucci, recitati da Gino Berrettoni (che di lì a poco miseramente periva in un accidente di caccia) nel R. Teatro Salvini, in occasione di uno spettacolo a beneficio di un Asilo per i poveri promosso dalla locale Società di Pubblica Assistenza.

Anche il rimanente del testo è tutta fatica  della studentesca universitaria empolese. Non sono privi di originale giocondità tre articoli, il primo di Lotario Bartolini-Salimbeni, che narra le comiche vicende di  Un esame di chimica, il secondo di Vittorio Fabiani, che presenta, con un ricco apparato erudito, un logoro quanto fantastico codice cinquecentesco, il terzo di Vincenzo Chianini, che s’ intrattiene in scherzose osservazioni sociologiche intorno all’ influenza assimilatrice dell’ ambiente universitario pisano sulla tenera fibra del « matricolino ».

Non vanno passati sotto silenzio alcuni versi (Campagna senese) di Balilla Cinali, spentosi recentemente in Verona, e il seguente epigramma del Mannucci:

 

I nostri nonni un asinello umile

Facean volar dal campanile in piazza;

Or, col progresso dell’umana razza,

Volano i ciuchi fino al campanile

 

Lo stesso autore fornisce in questo numero alcune notizie sui goliardi medioevali.

Particolare curioso: questo numero unico ebbe una specie di supplemento per poter dare alla luce un articolo umoristico che era rimasto fuori dalle paginette di Charitas.

Così anche lo studente in medicina Luigi Fracassini poté presentare al pubblico certe sue « riflessioni filosofico-embriologiche » per spiegare (impresa certo non facile!)  Che cosa è l’uomo!…

* * *

Il 1o gennaio 1898, per i tipi di Edisso Traversari, uscì La Fiamma, elegante fascicolo di otto pagine, a benefizio delle Cucine economiche che l’ Arciconfraternita di Misericordia aveva istituito in quell’ inverno a sollievo delle famiglie indigenti.

Nella testata riporta l’ evangelico

 

Et quid volo nisi ut ardeat?

ed il dantesco

Poca favilla gran fiamma seconda.

Il Comitato redattore era composto dai proff. L. Mannucci e V. Fabiani, dott. Fabio Pandolfi, L. Bartolini-Salimbeni, Ettore Del Vivo e Luigi Fracassini.

Preceduto da una lettera al maestro Adolfo Scardigli, si presenta in prima pagina questo epigramma, maliziosamente ingenuo, di Renato Fucini:

— Sempronio è stato fatto cavaliere.

— Pover’ uomo! O Perché? Si può sapere?

Segue un pensiero di Giovanni Marradi:

« L’ arte ha da essere qualche cosa di alto, o non essere »

La poesia è rappresentata da tre ballate del Mannucci, da un sonetto bernesco di T. Cinotti (La Moglie), da due sonetti dell’ ing. Santi Angeli e da alcune sestine nelle quali il compianto prof. Ferruccio Bini narra La storia di un galletto; la scienza vi figura per un articolo del Fracassini sull’ alimentazione ed uno del Salimbeni sull’alcool.

Il dott. F. Pandolfi vi scrisse alcune Divagazioni dantesche, il Fabiani un brillante articolo (Arzigogolando....) e, in collaborazione col Mannucci, una notizia sul dimenticato poeta empolese Giovanni Andrea Falagiani, mentre lo Scardigli ricordò i pontormesi illustri.

Vi si leggono anche alcune brevi parole rivolte ai giovani dal dott. Ugo Chiarugi (simpatica figura di gentiluomo troppo presto scomparsa!) ed un pensiero sull’arte di educare, tratto da un discorso del prof. Francesco Danelli, allora direttore del R. Ginnasio Leonardo da Vinci.

Notiamo infine le sconsolate meditazioni  di Ettore Del Vivo su La malattia del secolo, prosa che il proto ebbe la malinconica idea di chiudere fra due lugubri croci, quasi presagio dell’ immatura fine dell’ottimo avvocato. E presso nereggia un teschio umano non senza l’ornamento di un paio di stinchi: fregio profondamente ammonitore, sebbene di effetto non gaio….

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 Oltre la Fiamma, nel 1898 videro la luce due altri numeri unici: l’uno intitolato  I tempi nuovi e l’altro Ferruccio.

I tempi nuovi era il titolo dato a quattro paginette pubblicate dalla tipografia di Giovanni Priori e Figli il 23 gennaio di quell’ anno.

Due pagine erano occupate da un lungo articolo di Pietro Gori, la terza quasi per intero era spesa a combattere i repubblicani; infine, altri due scritti, firmati con pseudonimi, contro l’odierno assetto sociale ed in esaltazione delle più note figure dell’ anarchismo, completavano questo foglio di propaganda sovversiva.

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Nell’aprile del 1898, col titolo Ferruccio, venne edito un numero unico allo scopo di raccogliere offerte per erigere in Empoli un monumento all’eroe di Gavinana. È un bel fascicolo di dieci grandi pagine elegantemente stampate dallo stabilimento Pellas di Firenze; nella copertina è disegnato il panorama di Empoli.

Questa pubblicazione, naturalmente, è quasi tutta dedicata alla glorificazione del Ferruccio, che, com’è noto, nel 1530, fu qui Commissario della Repubblica fiorentina.

Così, dopo che il Comitato ha esposto l’opera sua ed il suo intento, Vittorio Bacci presenta un rispetto toscano, inedito, ispirato ad Aleardo Aleardi da una visita fatta alla tomba del Ferrucci; Licurgo Cappelletti illumina il contrasto tra la figura del traditore Malatesta Baglioni e quella del Capitano fiorentino; Leopoldo Barboni considera il Ferruccio quale precursore degli eroi del Risorgimento.

Di Giuseppe Rondoni si leggono due articoli: il primo (Il guerriero cittadino) dottamente illustra la nobile figura dell’Eroe, difendendola dalla critica demolitrice dell’Alvisi, l’altro riferisce parte di un discorso scritto dal Guerrazzi nel 1847.

Torquato Guarducci parla de Gli antenati di F. Ferrucci e Vieri Bongi espone alcune sue acute osservazioni intorno al Ferruccio nel romanzo.

Non tutti gli articoli concernono lo stesso argomento. Giorgio Stiavelli, infatti, s’ intrattiene a lamentare l’ abuso degli aggettivi, mentre l’illustre prof. Pio Rajna narra una leggenda bergamasca di Val Brembana (Il Castello della Regina). Né mancano illustrazioni e poesie a ingentilire le severe pagine di questa eletta raccolta.

Oltre gli esametri latini, nei quali Oreste Bicci canta la morte del Ferruccio, ricordiamo i martelliani di G. Stiavelli (I miei bimbi), una ballata amorosa di G. Targioni-Tozzetti, un’ode All’aquila di Elvira Pasi, un sonetto di Amalia Ciardini, una canzone di Mariano Bargellini in morte di Alessandro Lamarmora, ecc.

Questa pubblicazione, alla quale contribuirono scrittori di chiaro nome, fu veramente una delle più belle e serie fra quante del genere vennero in luce in Empoli.

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Interrompendo per un momento l’ordine cronologico, accenniamo qui a quattro numeri unici di carattere religioso pubblicati tra il 1895 e il ’99.

Il primo (ed è anche il primo, in ordine di tempo, dei numeri unici empolesi) è un Ricordo del pellegrinaggio empolese al Santuario di Montenero. Stampato dal Guainai, questo modesto foglietto di quattro pagine porta notizia dei discorsi tenuti durante il pellegrinaggio stesso fatto il 4 agosto 1895 da cinquecento empolesi.

Il secondo numero unico, in quattro ampie pagine, celebra il  Pellegrinaggio empolese al Volto Santo di Lucca ed ha la data del 12 luglio 1896. Contiene un’iscrizione del P. Benedetto Pincetti, Rettore del Collegio Calasanzio, articoli di Mons. Proposto dott. Gennaro Bucchi, del prof. Vittorio Fabiani (La filosofia della Croce), del dott. Fabio Pandolfi, (I principali monumenti religiosi di Lucca), di Virginia Fabiani, uno scritto latino di Don Giuseppe Uccelli sul Volto Santo, versi di V. Fabiani, Pier Luigi Sacchettini, scolopio, distici latini di Don Martelli, latini e greci dal P. A. Piccinini, ecc.

Il 16 maggio I897 uscì un nuovo numero unico in ricordo del Pellegrinaggio del Val d’Arno  inferiore alla Basilica della SS.ma Annunziata in Firenze, quattro belle pagine, nella prima delle quali è riprodotta l’Annunziazione dipinta del Beato Angelico nel Convento di S. Marco. Vi collaborarono il Proposto Bucchi, il Padre Manni, il dott. Fabio Pandolfi, i proff. Fabiani e Mannucci, ecc.

Con la data maggio-agosto 1899, stampato a Firenze, come i due precedenti, dalla tipografia S. Giuseppe, già A. Ciardi, usciva il Ricordo delle solenni feste centenarie del SS. Crocifisso delle Grazie venerato nell’Insigne Collegiata di Empoli.

Il Proposto Bucchi vi fa la storia della Chiesa Collegiata e narra un suo viaggio in Terra Santa, il prof. V. Fabiani, spigolando nella Divina Commedia, parla di Cristo e la Croce, l’erudito Don Giuseppe Uccelli vi detta un’epigrafe latina e una italiana. Oltre ad altri scritti d’ indole religiosa, vi si leggono versi del P. Giuseppe Manni scolopio, del p. Pio Ciuti dei Predicatori, del prof. Luigi Mannucci, del P. Stefano Casini, del canonico Michele Cioni, del sac. Gustavo Minchioni.

Di poeti l’Italia non ha mai patito carestia…. Nelle otto pagine del fascicolo numerose e nitide sono le illustrazioni, quali quelle della facciata della Collegiata, dell’immagine del Crocifisso delle Grazie, di una tavoletta trecentesca esistente nella nostra Pinacoteca e rappresentante la miracolosa fioritura del mandorlo in Val di Marina, il ritratto del cardinale Bausa, arcivescovo di Firenze, morto poco prima dell’inizio delle feste centenarie, presidente onorario del Comitato, ed il ritratto del Proposto Bucchi, presidente effettivo.

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Nel 1905 il terremoto, che desolò la Calabria, fece pullulare nella penisola (le disgrazie non vengon mai sole!) una fiorita di  « numeri unici ».

Anche Empoli, per cura degli studenti e per i tipi del Guainai, ebbe il suo, il 17 settembre, dal titolo mitologico Tifeo, per quanto fin dai tempi di Dante non si attribuisse più all’infelice gigante sprofondato nell’ Etna neppure il fumo del vulcano. Ricordate il verso del terzo cielo del Paradiso ?

… non per Tifeo, ma per nascente solfo …

Ma torniamo al Tifeo di carta. Esso, sebbene di aspetto tutt’altro che gigantesco, ebbe molta diffusione e fortuna. In prima pagina, dopo una breve presentazione – a nome del Comitato di Tomaso Fracassini, vennero pubblicate sette ballate di Luigi Mannucci, primizia del volume Memorie e lacrime, pubblicato dal Traversari in quell’ anno.

Il direttore del numero, il buon Guido Antonio Manetti, v’ inserì la prima scena di Via Crucis, un suo bozzetto drammatico rimasto inedito. Renato Fucini offrì i suoi noti martelliani Il superstite calabrese, già scritti in occasione del terremoto del 1894; Vittorio Fabiani una graziosa ballata d’aria trecentesca, Alberto Castellani un’ode, Paolo Marioni un sonetto in vernacolo.

Nonostante la tirannia dello spazio, non mancano gli scritti in prosa; ve ne sono di Amalia Ciardini, di Vincenzo Chianini (Folco) e di Corrado Masi, che dette un breve, felicissimo scherzo umoristico: Il « Tifeo » al telefono.

Se un certo riserbo mi consiglia di tacere di due miei articoletti, l’oggetto di queste note mi obbliga a ricordarne almeno uno, intitolato Un’idea goliardica, che era quella di metter fuori un periodico caricaturista e che per allora non fu tradotta in realtà.

Ci vollero quasi quattro anni perché i tempi fossero maturi e nascesse, insieme all’ anno 1909, il Lanternino, il cui primo numero fu venduto a beneficio dei superstiti del tremendo terremoto che aveva distrutto pochi giorni innanzi le città di Reggio e di Messina. Ma il Tifeo non vi ebbe colpa. Anche Dante lo afferma:

… non per Tifeo, ma per nascente solfo …

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Un albo di quasi sessanta caricature apparve nel 1905, per opera dei giovani Alberto Manetti (Scarabeo),  Paolo  Marioni  (Pid) e Dino Brogi (Flavio), ed  ebbe  si festosa accoglienza  che  se n’ esaurì l’edizione in un batter d’ occhio.

Tanto successo indusse i compilatori a dare un seguito a quell’ Antologia umoristica – come la chiamarono essi stessi – ed ecco che nella prima domenica di quaresima dell’anno seguente venne pubblicato un nuovo fascicolo di cinquanta tavole intitolato La Pentolaccia, cinematografo del 1906. Ivi sono dichiarati i nomi della maggior parte dei signori pupazzettati l’anno innanzi. In tutti e due i volumetti gli epigrammi sono dettati, con la nota garbata arguzia, dal prof. dott. Vittorio Fabiani.

Quasi continuazione di questo genere di pubblicazioni fu il Mosconcino, un numero di « schizzi e ghiribizzi », stampato dal Traversari e uscito il 24 febbraio 1907. Nella testata una vignetta rappresenta tre uomini intenti a tirare una fune legata ad una campanella infissa ad un muro. In basso è la scritta:

« Chi vuol tirare s’attacchi! ».

Il gustoso articolo di fondo è del prof. Fabiani e s’ intitola  La lanterna di Pasquale; di poi vi troviamo un vecchio articoletto del Mannucci sui dintorni di Empoli e tre sonetti in vernacolo del dott. Gaetano Santini.

Le sei grandi pagine di questa pubblicazione sono occupate quasi interamente da quarantasette pupazzetti, tra maschi e femmine, e il merito di tanta attività spetta agli inesauribili disegnatori dilettanti Paolo Mariotti (il Pasquale della Lanterna) e Dino Brogi, i quali non mancarono di esporre bravamente le proprie figure in mezzo all’ abbondante accolta delle loro vittime.

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Ma, per voler parlare insieme di questi tre numeri di caricature, non abbiamo ancora fatta menzione del Vesuvio, che fu pubblicato l’anno avanti, e precisamente il 29 aprile 1906, dalla tipografia R. Noccioli, a cura dell’Associazione circondariale della stampa, per contribuire a soccorrere le vittime dell’eruzione vesuviana.

Si tratta di un ampio fascicolo, di cui fu compilatore l’avv. Umberto Salvadori. Rileviamo un pensiero di Guido Mazzoni, una lettera del Fucini, versi del Fabiani, del Mannucci, del Boeri, del Castellani, scritti di U. Salvadori, Gino Bartalucci, Gino Montepagani e Guido Manetti.

Corrado Masi v’ illustra tre sonetti di Niccola Saccenti, parroco di Camugliano presso Cerreto Guidi e figlio di quel Giovan Santi (1687-1749), del quale ancora sopravvive la fama per le sue giocose Rime.

Carlo Paladini, il brillante e fecondo pubblicista testé scomparso, discorre briosamente di un « telegramma di Tartarin », quello cioè mandato da Guglielmo II al rappresentante austriaco alla conferenza di Algesiras, e difende la condotta tenuta in quel momento politico dall’ Italia, « fedele a una malaugurata alleanza che ripugna oramai ad ogni animo di patriota ».

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Un numero splendido per lusso di carta, di tipi e d’illustrazioni è quello edito a cura del Comitato per la seconda Esposizione Campionaria Nazionale tenuta in Empoli nel maggio – giugno 1907. Floralia venne stampata Firenze nella Tipografia Domenicana. Un’elegante figura di donna settecentesca, tracciata dalla matita di Vittorio Corcos, fregia la copertina.

Sono intercalate all’abbondantissimo e svariato testo bellissime illustrazioni dei principali monumenti cittadini e dell’ Esposizione Campionaria, il ritratto del poeta Ippolito Neri, autore del poema eroicomico Il Saminiato, e quello del celebre pianista Ferruccio Busoni, che in Empoli sortì i natali.

L’ avv. Ferdinando Lami vi scrisse, a nome del Comitato, alcune parole di presentazione; Emma R. Corcos, evocando i ricordi della sua prima giovinezza, trascorsa nella villa di Bellosguardo sopra Spicchio sull’Arno, vi scolpisce la simpatica figura di un prete semplice e buono (Prete Silvio);

il prof. Vittorio Fabiani immagina una briosissima lettera d’Ippolito Neri dai Campi Elisi al Sindaco di Empoli ing. Paolo Del Vivo (la lettera giunge con un ritardo di tre anni: solite delizie del servizio postale!);

Ettore Bucchi parla succintamente di Empoli artistica, il dott. Fabio Pandolfi fa una garbata disamina dei poeti concittadini, io spezzai una lancia in favore del monumento a Francesco Ferrucci ed esposi l’opera svolta dal Comitato. Né qui termina il contributo della letteratura.

La poesia è egregiamente rappresentata da una robusta canzone petrarchesca di Alberto Castellani, da una delicatissima lirica del Boeri (La piccola fonte), da un’ ode saffica latina del prof. A. Catarzi e da altre poesie dovute a Luigi Mannucci, Renato Fucini, Agostino Bachi, Giovanni Targioni-Tozzetti e Amalia Ciardini-Ricci.

Notiamo infine, oltre un vivace monologo di questa gentile scrittrice, bozzetti di F. Lami, V. Chianini e G. Bettini.

Floralia fu senza dubbio, nella serie dei numeri unici empolesi, il più ricco ed il più aristocraticamente elegante.

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In occasione di uno spettacolo teatrale a benefizio delle famiglie dei richiamati, il 26 marzo 1916 uscì un foglietto che si distribuì gratuitamente, dal titolo Il Richiamato.

Contiene, oltre il programma della rappresentazione data dai filodrammatici empolesi, stornelli patriottici, stelloncini di cronaca umoristica. articoletti d’incitamento a soccorrere i figli dei richiamati, versi di Umberto Cecchi e un sonetto del dott. Gaetano Santini contro il Kaiser di Germania.

Questo numero fu stampato dalla tipografia R. Noccioli su carta bianca e con inchiostri rossi e verdi e non ebbe altra pretesa che quella di un foglio di pubblicità.

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Né forse ebbe maggiori pretese lo Scacciapensieri, edito l’ 8 gennaio 1922 a cura dell’ « Empoli Foot-Ball Club » inaugurandosi, il Campo di giuoco sul nuovo piazzale lungo l’Arno, detto popolarmente l’Abetone.

Fu un foglietto verde che cominciava innalzando l’urrà per i calciatori in bianco-furlana di quel Circolo. Anche qui poesie ed articoletti scherzosi, una cronaca umoristica, versi in vernacolo del dott. G. Santini.

Serio invece era il primo articolo, nel quale il presidente Sig. Parigi Innocenti manifestava i propositi del Circolo calcistico. Redattore di questo numero, che uscì dalla tipografia Guainai, fu il giovane Tullio Tuti.

Questa pubblicazione comico-sportiva si attirò addosso una « polemichetta cortese » (ma non senza aculei) nelle colonne del periodico fascista Giovinezza.

Lo Scacciapensieri, nella sua qualità di numero unico, non poté controbattere, sicché la partita si chiuse 1 a  1….

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L’ ultimo numero di cui ci occupiamo (ed è veramente il caso di dire dulcis in fundo) fu intitolato da Renato Fucini ed uscì il 9 aprile 1922, nell’occasione in cui, per iniziativa e cura dell’ Accademia di Scienze, Empoli onorò solennemente la memoria del geniale scrittore toscano.

Questo numero raccoglie intorno alla vita ed all’arte di Neri Tanfucio un eletto manipolo di scritti e forma, per l’eleganza dei tipi e la ricchezza delle zincografie, il migliore e più degno ricordo della bella commemorazione.

Basti darne il sommario:

 

Corrado Ricci, Vivrà il Fucini;

Giuseppe Lesca, Il Fucini e un soprabito di G. Carducci;

Giuseppe Bettini, « Il cuor ch’egli ebbe »;

Cesare Levi, Perché il Fucini non scrisse commedie?;

Vittorio Fabiani, La profezia di Licurgo;

Emilio Mancini, Gli epigrammi di David Fucini;

Alberto Niccolai, L’italianità di R. Fucini;

Adolfo Albertazzi, Spiriti giocondi….;

Alberto Castellani, « Il maestro Tan »;

Tomaso Fracassini, Toscanismo, Fucinismo e altra roba…. in ismo;

Mario Foresi, Ricordanze fuciniane;

Ferruccio E. Boffi, L’ultima di R. Fucini;

Adolfo Simonetti, Un banchetto perduto e una cacciata nostalgica;

Fabio Pandolfi, R. Fucini…. « reclamista »;

Averardo De Negri, R. Fucini poeta dialettale.

 

Notiamo inoltre una nota bibliografica, e pensieri e ricordi di Isidoro Del Lungo, Guido Mazzoni, Giuseppe Lipparini, Arnaldo Zanella, Ettore Allodoli, Arturo Pompeati, Eugenio Colosi, Luigi Tonelli, Ardengo Soffici, Pietro Mastri, Ireneo Sanesi, Guido Menasci, Francesco Sapori, Onorato Fava, Luigi Siciliani, Paolo Orano, Dino Brogi, Adolfo Scardigli, Corrado Masi, Pasquale De Luca, Ugo Ghiron, Luigi Mannucci e Rosolino Guastalla.

L’ interessantissima pubblicazione, edita dalla tipografia Lambruschini, ebbe un meritato successo. né è da meravigliarsi, poiché, come abbiamo veduto, vi collaborarono scrittori valentissimi e, nel prepararla ed ordinarla, vi dedicò intelletto sagace ed esperto zelo il dott. Vittorio Fabiani, uno degli ultimi devoti amici del simpatico novellatore delle Veglie.

Non ci sembra inopportuno aggiungere che il periodico empolese Piccolo, di cui questa pubblicazione figura come « numero straordinario  » già il 7 giugno 1908, ricorrendo il trentesimo anniversario di Napoli a occhio nudo, raccolse i giudizi e i ricordi dei più chiari letterati d’ Italia intorno all’arte di Renato Fucini. Ed anche quel « numero », come l’ultimo, si eleva molto sopra le consuete pubblicazioni del genere.

Terminata così la rapida, ma veridica  istoria dei « numeri unici » empolesi, chi avrà avuto la pazienza di seguirmi fin qui trarrà forse un sospiro di sollievo e ringrazierà Iddio d’aver voluto, nella sua infinita misericordia, che solo per sedici volte fra noi, nello spazio di oltre cinque lustri, i torchi gemessero a spremere questo effimero parto dell’arte di Giovanni Gutemberg, specialmente quando, al danno dei « numeri unici », si aggiunga il malanno delle veridiche istorie…

Ma se al primo facile dispregio succeda un più riposato giudizio, il lettore dovrà essere più equanime e riconoscere, fra quegli scritti occasionali, prose e versi di eccellenti autori, pagine pregevoli per garbato lepore, per eletta dottrina, spesso di non scarso interesse per la storia locale.

E quel lettore forse (ed ecco, se non la sua, premiata la mia pazienza) si farà più benevolo anche verso chi di quelle voci disperse volle serbare un’eco discreta e men fuggevole in mezzo alla cerchia degli amici e dei conterranei.

 

Empoli, 7 agosto 1922

 

Emilio Mancini