Emilio Mancini

Filodrammatici empolesi del Settecento

Estratto dalla ” Miscellanea storica della Valdelsa “

 Anno XXV, fasc. 1. — (Della serie n. 71)

Castelfiorentino

Tipografia Giovannelli e Carpitelli

1917

 

Pdf dall’archivio Mancini – Firenze

 

Il 31 ottobre 1723 moriva finalmente Cosimo III, Granduca di Toscana, dopo aver regnato la bellezza di cinquantatré anni, e con lui se n’andarono dalle nostre terre lo spagnolismo tartufesco e Ia musoneria, rinacquero con l’ultimo dei Medici, Gian Gastone, la galanteria ed il brio, la reggia ed i palazzi privati tornarono a risplendere e ad echeggiare di feste, di concerti, di balli.

 

« I primi sette anni del governo di Gian Gastone – dice lo storico Galluzzi – si contarono fra i più felici che fino a quel tempo avesse goduto da più secoli la Toscana.  » (1)

 

Ed alla data del 24 luglio 1732, quando già a Firenze era giunto il giovane don Carlos di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, allora designato ad occupare quel trono che invece toccò poi ai Lorena, nel diario Minerbetti-Squarcialupi si legge:

 

« Ci era una gran quantità di denaro, poiché il Gran Duca Gian Gastone non aveva mai messo imposizioni…. ; tutto era pieno di denaro e quasi tutto oro, perché la zecca batteva moltissimo di questa moneta, onde per barattare un ruspo per avere un poco di moneta ordinaria, conveniva dare una crazia di più…. Si aggiunge il moltissimo portatocene dagli spagnoli, che fino nelle tasche e nelle mani dei contadini si vedevano doppie di Spagna…. Tutto per tanto spirava allegria e non si sentiva altro la sera per le strade che sinfonie e canti, e ciò proveniva dal grande oro che ci era e dal vedere due Corti così splendide.  » (2)

 

____________________________________

(1) R. Galluzzi, Storia del Granducato di Toscana ecc., 1842, libro IX, cap. X.

(2) F.Sbigoli, Tommaso Crudeli e i primi Fra-massoni in Firenze, Milano 1884,pp.19-20

____________________________________

 

Circa questo tempo, in cui pareva tornata sulla terra la mitica età dell’oro, nel 1730, la turrita villa granducale dell’ Ambrogiana, ora triste reclusorio di pazzi criminali, ospitava una serenissima Altezza Medicea. La Gran Principessa Violante Beatrice di Baviera, Governatrice della città e stato di Siena, era venuta sulle rive dell’Arno, per ristorare la malferma salute e trascorrere nella quiete gli sconsolati ozi della sua vedovanza. Alla colta e buona Principessa, prediletta del suo cognato Gian Gastone, regalata da Benedetto XIII dell’ambita rosa d’oro, gli abitanti dei paesi vicini alla villa granducale fecero grandi feste.

Ecco quel che si legge in un Codice della Moreniana, dal titolo Storia della nobile e reale Casa dei Medici, di non ben determinato autore, pubblicata per cura di F. ORLANDO e G. BACCINI nella Biblioteca grassoccia (3):

«  A gara dai popoli circonvicini le furon fatti i maggiori onori, che per loro fare le si potesse, e con regate in Arno e corse di cavalli in terra, e con merende e deschi molli co’ navigli nel fiume, illuminate le rive e i legni, con sinfonie di corni da caccia, trombe, timpani ecc.   »

In così nobile gara di omaggi e di festeggiamenti, si  distinsero gli Empolesi, che ebbero la soddisfazione di esser ben graditi e lodati da una gentildonna, nota per il suo illuminato mecenatismo.

Seguendo l’inclinazione propria e la gloriosa tradizione della sua Casa, essa fu larga di aiuti verso i più famosi poeti estemporanei del suo tempo, che fu il periodo aureo, per quanto effimero, della poesia improvvisa: il Ghivizzani. lacopo Antonio Lucchesi, il priore G. B. Morandi, il celebre Fagioli e specialmente il senese Bernardino Perfetti, aila cui incoronazione in Campidoglio essa volle assistere, godettero della sua alta protezione. Dinanzi all’augusta donna, gli Empolesi dettero prova, con prospero successo, della loro valentìa.

 

___________________________

(3) Capricci e curiosità letterarie inedite o rare, Firenze, 1887, n. 7, pp. 21-22.

____________________________________

 

« Gli abitanti della nobilissima terra d’Empoli – prosegue l’ignoto autore – oltrepassavano tutti gli altri, imperocchè dopo simili feste le recitarono una bellissima commedia, con suo non ordinario piacere, nella quale si diportarono così nobilmente, e fra gli altri comici (tutti di famiglie nobili), si distinse il Cornetta Sandonnini Giacchini, de’ Conti Sandonnino in Garfagnana, ond’ella si determinò nel futuro anno di farvi un’altra Commedia.  »

Ma l’anno di poi, molto malandata in salute, si accingeva a ritornare all’Ambrogiana, « e già si preparavano i popoli a raddoppiarle i divertimenti popolari », quando la infelice Serenissima spirò la notte del 30 maggio.

Violante Beatrice, moglie affettuosa, non bella, volle che ai piedi di Ferdinando, che da diciassette anni l’aveva preceduta nella tomba, fosse deposto il suo cuore, che gli aveva donato nel dì delle nozze.

 

***

 

Il gran principe Ferdinando, in cui mandò gli ultimi guizzi lo spirito artistico della casa di Lorenzo e di Leone, era morto nel 1713, dopo una vita gaudente e dissoluta, in continuo contrasto col padre… eterno (com’egli soleva chiamare Cosimo III), spassandosela al Poggio a Caiano, Trianon mediceo, tra i lazzi dei comici istrioni, o alla Pergola tra le procaci bellezze delle Virtuose.(4)

 

Egli appunto è quel

Germe real Fernando inclito e degno

 

al quale, come a gloria e splendore del tosco cielo IPPOLITO NERI dedicò il suo eroicomico poema La Presa di Samminiato.

 

____________________________________

(4) Puliti, Cenni storici della vita del Serenissimo Gran Principe Ferdinando de’ Medici e della origine del pianoforte, Firenze, 1873

  ____________________________________

 

La vita del dott. Ippolito Neri come il suo capolavoro ci danno indubbie testimonianze dell’inclinazione e della passione degli Empolesi per l’arte scenica.

Ippolito Neri e il suo fratello Pietro, nel 1691 costruirono a proprie spese il Teatro di Empoli e lo cedettero poi all’Accademia degl’Impazienti che in quel medesimo tempo essi fondarono. A ricordo della munifica donazione i figli d’Ippolito posero un’ iscrizione nella sala del Teatro in onore dei due illustri cittadini che – come suonava l’epigrafe stessa – communi huic theatrali exercitationi ad mores in animos componendos maioremque virtutis gloriam in patria comparandam locum suum Emporii civibus ultro praebuerunt.

L’iscrizione scomparve nel 1818, quando fu demolito il vecchio Teatro per costruirne uno nuovo nello stesso luogo, su disegno dell’architetto fiorentino Luigi Digny ed a spese dell’Accademia, che sin dal 1710 si denominò dei Gelosi Impazienti (5).

Anche in alcune lepide ottave de La Presa di Samminiato, sono ricordati Empolesi valenti nell’arte drammatica.

Francesco Checcacci, il prode soprintendente alle salmerie dell’esercito empolese ed alla cassa militare tirata con fatica e stento da ben cento buoi, portava per insegna dipinte nell’ornata e bella sua banderola le maschere di Parasacco e di Pulcinella, perché, come ci informa l’anonimo annotatore, egli « recitava con qualche grazia alle commedie da buffone.  » (6)

 

E la fiera amazzone di casa Portigiani,

la gran Silvera,

Ornamento e splendor di Samminiato

 

la donna guerriera come la tassesca Clorinda, disprezza l’amore di Lorenzo Enea Cocchi  e s’ invaghisce  perdutamente di  Casteno Pomatti, cioè di Tommaso Pancetti, un altro empolese che, molto più che nelle armi, eccelleva nel recitar commedie vestito…. da donna.

 

__________________________

(5) LAZZERI, Storia di Empoli, p.124. Cfr. anche OLINTO POGNI, Le iscrizioni di Empoli (Firenze, Tip. Arcivescovile, 1910) p.355, VITTORIO FABIANI, Ippolito Neri (Firenze, B. Seeber, 1901), pp.71-72 e G. BUCCHI, Guida di Empoli illustrata (Firenze, Tip. domenicana, 1916) pp.112-113.

(6)Nel poema il Checcacci ha il nome anagrammato di Caccofero Seccaceci. Cfr. Canto V, 39.

__________________________________

 

E siccome solevano i signori Samminiatesi frequentare le rappresentazioni teatrali di Empoli e gli Empolesi quelle di S. Miniato, avvenne che Silvera ebbe modo di vedere Casteno

 

Con le cresta in commedia e con la gonna,

Qual donzella gentile ornato il seno,

Che inver non avea pari a far da donna.

                                                                               (IV, 68).

 

E da quel giorno la valorosa colonnella, rapita dall’arte del giovane filodrammatico empolese, se n’era innamorata cotta; per Ia qual cosa il nostro poeta, fra il serio e il faceto, ammonisce:

 

Però non mandin mai le lor figliuole

Alla commedia i padri di famiglia

Perché son queste affè le vere scuole

Dove l’arte d’amor più s’ assottiglia

E quando lì con semplici parole

E da burla si tratta e si consiglia,

Fuor di lì poi gli casca nel pensiero

(dicess’io le bugie) farlo davvero.

 

 Ma questi scrupoli e questi prudenti ammonimenti non gli impedivano di porre ogni cura per Ia miglior riuscita delle rappresentazioni al suo Teatro, di scrivere egli stesso commedie e d’ invitarvi l’ eruditissimo Bibliotecario dei Medici, Antonio Magliabechi.

 

« Ora è il tempo – così gli scriveva — se V. S. lll.ma vuol favorirmi di venire a vedere il mio Teatro, sentirvi una mia opera, e onorare la mia casa senza cerimonie, come siamo di patti.  Martedì si farà 1a recita, Giovedì la 2a e Domenica la 3a. Non manchi di grazia perché stimo più lei a venire a sentir questa commedia, che se venisse tutto il mondo insieme. »

 

E nonostante « la copia grandissima degli ammalati Ippolito Neri trovava modo di far delle scappate in calesse alla villa di Pratolino, dove il cardinale Francesco dei Medici dava spettacoli teatrali con sfarzo veramente principesco »(7).

 

__________________________________

(7) Fabiani, op. cit, pp 88-94

__________________________________

 

« La copia grandissima degli ammalati », sebbene il dottor Neri fosse un medico assai valente, avrà forse desiderato un medico meno entusiasta di Melpomene, di Tersicore e delle altre muse sorelle; ma bisognava striderci: il nostro bravo Dottore, più che a curar malati, si dedicava con passione a far divertire i sani e perciò preparava commedie e dodici canti d’ un poema eroicomico, come la migliore delle ricette per far buon sangue.