VITA E MORTE DI UN VECCHIO TEATRO DI PROVINCIA
di Vittorio Fabiani
Da: Miscellanea Storica della Valdelsa, n. 153, 1948
La snella e bellissima Torre di Santo Stefano (alta 45 m. e 71 cm.), minata in precedenza e fatta crollare dai tedeschi circa le ore 22 di martedì 24 luglio 1944, produsse, da un lato, la rovina dell’abside e di una parte della vecchia Chiesa agostiniana e frantumò, dall’altro, il Teatro « Salvini » con alcune delle cosiddette « stanze », dove un tempo si davano convegno gli Accademici che del Teatro avevano la proprietà.
« Il Teatro di Empoli – si legge nella Storia del Lazzeri 1 – fu eretto e fabbricato nel 1691 dal proprio patrimonio dal Signore Dottore Ippolito e Pietro Neri, famiglia onorata del paese per il di cui provvedimento fu ancora istituita una conversazione la quale prese il nome di Accademia degli Impazienti.
Ma raffreddata questa forse nell’impegno intrapreso, ad oggetto di non privare la popolazione Empolese, nel tempo di carnevale, di un discreto divertimento teatrale, e di richiamare al medesimo i troppo dediti a sollazzi meno decenti, fu eretta nell’anno 1710 una nuova società col titolo d’Accademia dei Gelosi Impazienti 2, ai quali dalla suddetta casa Neri fu ceduto il teatro con quei patti e condizioni che si dicono nel contratto di cessione.
Ed essendo ancor questa per più anni restata del tutto estinta, fu nel 1751 ripristinata di nuovo da venti Accademici scelti dalle famiglie più rispettabili di questa Terra, per cui regolamento ne furono in tale anno compilate le proprie costituzioni ».
In origine il locale, adibito poi a teatro, era una stalla, una grande stalla. Un ms. di Ricordi vari della Casa e Famiglia dei Neri 3 ci dà informazioni esatte in proposito. Vi troviamo, infatti, notato che i Neri, il I gennaio 1691, presero a livello uno « stallone di casa Ticciati » « che riesciva in via del Pèsco ».
« Questo stallone – continua l’estensore degli appunti, Pietro di Lorenzo Neri – si è già ridotto in un bello stanzone per le commedie e vi ho speso fino ora scudi dugentocinquanta, e vi è le scene nuove, che mi costano più di scudi centotrenta ed a volerlo finire vi va ancora molte centinaia di scudi… »
Quanto alla cessione del Teatro, di cui si è fatto già cenno, troviamo nel ms. dei Ricordi 4, un primo Atto che, steso il 10 settembre 1710, un anno e otto mesi dopo la morte d’Ippolito, porta per prima la firma di Pietro suo fratello; « Io Pietro del fu Lorenzo Neri, non tanto in nome mio proprio quanto come tutore di Lorenzo e Francesco miei nipoti, affermo, prometto e mi obbligo a quanto in questa si contiene et in fede mano propria ecc. ».
Il secondo Atto di cessione del teatro 5 è del 27 novembre 1751, anno in cui l’Accademia dei Gelosi Impazienti venuta « quasi ad estinguersi » si rinnovellò 6; e del 10 maggio 1776 7 è la Ratifica della Cessione del Teatro ecc. per parte dei Neri.
Il Lazzeri riporta con qualche errore 8 la epigrafe che dai figli del dottor Ippolito fu apposta, nel Teatro, sotto il palco di mezzo. Questi errori non si hanno nella copia che ce ne offre il m. dei Ricordi 9 da cui trascriviamo (si ponga mente a quel plurale Nerii con doppia i, che ci riporta a un singolare Nerius conforme l’uso classico dei cognomi latinizzati):
– In aeternum vivat – illustrium virorum doctoris Ippolyti et Petri Nerii – memoria – qui communi huic theatrali exercitationi – ad mores in animis componendos – maioremque virtutis gloriam – in patria comparandam – locum suum Emporii civibus ultro praebuerunt – Doctor Laurentius et Franciscus – eiusdem Hippolyti filii – obsequi erga eos et amore devincti – merito posuere 10.
C’è chi desidera avere qualche notizia sui soggetti qui nominati? Non mi intrattengo sul medico e poeta Ippolito: farei un torto ai lettori se presumessi erudirli sulla vita e sulle opere del celebre autore della Presa di Samminiato.
Dei tre figli avuti dalla diletta consorte Elisabetta Stefanini di Càscina, che si estinse immaturamente nel 1695, Agata morì nubile, Lorenzo fu – come il padre – medico nella terra natale, e Francesco attese alla milizia dove acquistò il grado di capitano, e tenne poi l’ufficio di Commissario a Poppi, a Lucignano e a Barga.
Di Pietro ben poco sappiamo. Il fratello Ippolito gli ha riserbato un’ottava del suo poema eroicomico11, quando a mettere un termine all’ingiustificato ostracismo del doveroso ricordo neriano.
Abbiamo accennato alla ricostruzione del 1818. In quest’anno, nel luogo stesso dove sorgeva l’antico, fu eretto il nuovo Teatro su disegno dell’architetto fiorentino Luigi Digny, a spese dell’Accademia dei Gelosi Impazienti, che vi impiegò circa diecimila scudi.
Antonio Luzzi, fiorentino anche lui, dipinse il soffitto, il vestibolo, il sipario: da Luigi Facchinelli di Verona furono dipinte le scene. Altri lavori poi, a rispetto delle scene e del rimanente, vennero eseguiti in diversi tempi: riuscirono, tra questi, di notevole importanza, quelli del 1852.
Circolò, allora, una dedica ai Signori Accademici, edita dalla Tipografia Capaccioli d’Empoli (l’Accademia ne conservava una copia, l’unica forse scampata al naufragio delle consorelle):
Ai « Gelosi Impazienti » – nelle generose imprese a niuno secondi – che – il patrio teatro opera degli avi – dall’imminente squallore rivendicato – di scagliole di ornamenti – e di scene arricchirono nell’anno MCCCLII – e di civiltà promotori solleciti – alle arti belle prepararono decorosa arena – e caldi d’amore di patria – le città prime emularono – il popolo empolese – con sentimento concorde di animo grato – per questo pubblico monumento – rende grazie sincere e festive acclamazioni 15.
Nel 1886-87 il Comm. Ing. Paolo Del Vivo dette un nuovo simpatico aspetto all’aula, apportandovi notevolissime modificazioni. « Occorreva – scrisse Mons. Bucchi 16 – che in questo teatro si potessero dare spettacoli grandiosi, conforme vi è richiesto ai nostri tempi ». L’Ing. Del Vivo, pertanto, ordinò il luogo di guisa che si potesse ottenere agevolmente questo intento.
Dette una forma più elegante agli ordini dei palchetti togliendone il quarto dove erano le cosiddette lunette. In cambio di quelle vi fece costruire ampia ?? e sotto il velo anagrammatico di Nero Periti ce lo mostra tra gli altri duci nella solenne rassegna « in sul Campaccio »:
Con centocinquanta, tutta gente bella
Di fionde armati e grosse pietre d’Orme
Nero Perito vien di Corticella 12
Sovra un cavallo di bizzarre forme;
Suona spesso costui la tarantella
Col zufoletto, e sempre mangia e dorme,
E teneva dipinto nel targone
Il Cerri che cantava un lazzerone 13
Pietro era quindi un flautista, che sempre – ce ne informa una nota del Samminiato – « stordiva il fratello con la musica e co’ suoni » 14.
La epigrafe: In aeternum etc., nonostante il divieto espresso nell’Atto di Cessione del 27 novembre 1751 sopra citato (« non possino detti nuovi SS.ri Accademici levare l‘arme eretta in d.o Teatro della Casa di detti Signori Neri, né levar via in conto veruno le iscrizioni che sono nella Platea del medesimo ») scomparve nel 1818 quando, demolito il vecchio, fu costruito il nuovo Teatro e, per quanto nelle pareti dell’atrio fosse spazio abbastanza per l’apposizione di un marmo, su cui incidere la epigrafe latina e lo stemma, notissimo, dei benemeriti Neri, dai quali prese il nome la via adiacente e che lì presso abitarono (come ricorda la bella iscrizione dettata dal compianto prof. Emilio Mancini e apposta di fronte alla Casa del Popolo), nessuno pensò mai conveniente galleria.
Inoltre egli diresse i lavori coi quali le pareti dell’interno del teatro furono adornate di ricche ed eleganti decorazioni a stucco dai Fratelli Filippi di Firenze.
Il Conti di Firenze dipinse il nuovo soffitto, dal centro del quale prendeva la lumiera intagliata a perfezione dal Poggioni o Puccioni di Poggibonsi. Il sipario e le scene furono dipinte dal professor Agostino Lessi di Firenze 17.
Il Teatro prese nome da Tommaso Salvini che vi recitò ne La morte civile del Giacometti, nel giorno dell’inaugurazione del teatro stesso.
Quel giorno fu il 19 febbraio 1887. In alcuni miei Ricordi Salviniani comparsi su Il Nuovo Giornale dell’8 gennaio 1916 parlai dell’avvenimento per Empoli straordinario, di cui si volle conservare memoria in una epigrafia dettata dal Comm. Avv. Giovanni Lami e posta nell’atrio del teatro.
Gli ultimi restauri apportati al « Salvini » in modo da farlo apparire rinnovellato, ne permisero nel 1938, dopo un lungo periodo di silenzio, la riapertura dei battenti.
Il palcoscenico fu ampliato e approfondito. Si ebbe un impianto elettrico tale da produrre qualsiasi effetto di luce. Furono costruiti nuovi camerini, eleganti e comodissimi, per gli artisti.
La sala fu abbassata di modo da livellare il pavimento con quello a terreno del Palazzo prospiciente in Piazza ora del Popolo, perché da quella Piazza si accedesse al nuovo e comodo ingresso.
La costruzione del golfo mistico, apprezzabilissima anche per gli effetti acustici, rese possibile l’aggiunta di due palchi. Furono allargati i corridoi di accesso ai palchi e alla platea con lo scopo di permettere in breve tempo lo sfollamento. Le sale d’ingresso al teatro consentirono al pubblico di circolare con agio negli intervalli delle rappresentazioni.
Demolite le colonne del vecchio atrio, si ottenne tale ampio spazio che nelle serate di maggior concorso la gente anche di lì poteva vedere perfettamente e perfettamente udire. Il loggione fu trasformato in capace galleria con comode poltrone: e di poltrone comode e moderne fu dotata la platea con l’aggiunta di qualche fila. Venne rinnovata la suppellettile dei parchi, il cui interno colorato di rosso scuro spiccava piacevolmente sul candore dell’insieme, tra gli stucchi e gli oli delle pareti.
La grande lumiera centrale, armonioso lavoro d’intaglio, tanto bella anche co’ lumi a petrolio, ritornò a far più bella mostra di sé con globi che illuminavano la sala a luce diffusa e dette un meritato sgambetto al tozzo e antiestetico lampadario degli ultimi tempi.
Il teatro venne pure fornito di un ottimo apparecchio cinematografico.
Il servizio di guardaroba, così come ogni altro servizio, fu ben acconcio e studiato.
In conclusione: oltre a donare bellezza, eleganza e modernità al locale, si volle – nei limiti del possibile – aumentare i posti e meglio utilizzarne lo spazio disponibile
Queste dunque per summa capita, le vicende del vecchio non inglorioso Teatro empolese. Lo spregiato e umile « stallone » di via del Pesco, via via, dalla fine del Seicento ai nostri giorni, era assurto a non comune dignità e bellezza d’aspetto.
Ciò che dimostra una volta di più come le umili origini non precludono la via alla gloria. Dove un tempo muggiva il pio bove o ragliava l’asino mansueto, vibrò – nella pienezza dei tempi – l’aurea voce affascinante di Adelaide Ristori 18 , squillò la voce calda e insinuante di Ernesto Rossi, tuonò la maschia e potente voce di Tommaso Salvini 19.
Un foglio volante, edito in Firenze presso Giuseppe di Giovacchino Pagani (l’Accademia dei Gelosi ne conservava tra le sue vecchie carte, l’unico esemplare superstite) rivelava qual era l’aspetto del Teatro, quando, nel 1818, risorse completamente rifatto.
Lo trascrivo integralmente; gli appassionati di mitologia vi troveranno di che andare in sullucchero:
Descrizione delle Pitture e spiegazione delle Figure simboliche, che servono d’ornamento al nuovo Teatro della nobil Terra di Empoli aperto per la prima volta la sera del dì 27 dicembre dell’anno 1918.
Gli Accademici del nuovo Teatro di Empoli, volendo dare piena soddisfazione al pubblico, si sono fatti un dovere di pubblicare un esatta spiegazione di quanto forma ornamento delle varie parti del medesimo, non per altro fine che per facilitarne l’intelligenza anche alle persone meno erudite.
Vestibolo – La soffitta del vestibolo è ornata di varie medaglie a bassorilievo, in cui si vedono effigiati ritratti de’ poeti tragici e comici, greci e latini, e di altre Nazioni, come Sofocle, Aristofane, Menandro, Plauto, Terenzio, Maffei, Metastasio, Alfieri, Goldoni, Shakespeare, Racine, Molière, ecc.
Sipario – Appena entrati nel Teatro si offre alla vista dell’osservatore il Sipario, che rappresenta una vasta ed amena campagna, ove Mercurio, messaggero degli dei, sta in atto di consegnare alle donne d’Arcadia Bacco bambino per affidarlo alla loro educazione. L’ondeggiamento e la sospensione fra il desiderio e l’incertezza di queste donne, che tutte aspirano all’onore di sì fortunato incarico, forma tutta l’espressione della gran Tela.
Arco del proscenio – L’arco del proscenio, adornato da ogni parte di trofei militari e campestri, presenta nella sua sommità il monte Parnaso con Apollo in atto di cantare, circondato dal coro delle Muse aventi in mano vari musicali strumenti analoghi ai diversi generi di poesia cui presiedono.
Volta – La Volta figura un Arazzo ricamato d’oro che serve come di padiglione al parterre all’uso antico, in cui sta effigiato il Carro del Sole. Detto arazzo è sottomesso e legato a dei fasci di palme dorate che descrivono in graziosa forma di lunetta un finto ordine superiore di palchi. I vuoti poi di dette lunette rappresentano il Tempo, le quattro stagioni e i dodici mesi dell’anno con geroglifici analoghi.
L’arme in fine dell’Augusto nostro Sovrano (Ferdinando III di Lorena) collocata sulle estremità compie l’ornato di detto Arazzo. Il Parapetto del finto ordine superiore è adornato di maschere tragiche e comiche con trofei corrispondenti, alle due diverse sceniche rappresentazioni e ai sacrifizi e feste baccanali.
Ordine secondo – Nell’Ordine secondo in due bassorilievi che si guardano a fronte vedesi la Tragedia e la Commedia in atto di scrivere a dettatura le loro Opere e negli altri quattro bassorilievi sonori le quattro parti del giorno, cioè l’Aurora, il Mezzogiorno, il Vespro e la Mezzanotte, nelle quali Tespi, primo inventore degli spettacoli teatrali aveva ordinato che si rappresentassero.
Ordine primo – Scendendo con l’occhio al Primo Ordine, ne’ quattro bassorilievi corrispondenti ai superiori si vedono rappresentati de’ Baccanali, che festeggiano il ritorno di Bacco dalla conquista dell’Indie, seguito da Sileno, da Fauni, Satiri, Centauri, Baccanti, ecc. Quindi il fortunato incontro di Ariana, ch’ Egli prende sopra il suo carro. L’ultimo bassorilievo rappresenta un Convito e riposo baccanale. Un Sacrifizio che si fa a questo Nume ed alla sua futura sposa tramezza i suddetti bassorilievi.
Nel Parapetto del Palco Imperiale si rappresenta l’Olimpo o Reggia di Giove, dove questo Nume è corteggiato dalle dodici maggiori divinità.
E dire che di tutta questa grazia di Dio non rimaneva nel 1886 che un pallido cartaceo ricordo! Oggi – dopo l’immane flagello della guerra – di tutto il bello edificio non resta più neanche pietra su pietra, Sic transit gloria...
Il già Imperiale e Reale Teatro Empolese non ha avuto dalla sorte la possibilità di assumere, in reggimento repubblicano, l’epiteto di « Nazionale . Il «Salvini » è morto e – con accoramento dei vecchi che vivono di ricordi – non sarà riedificato.
Per Empoli – in questo tutti consentono – occorre un teatro di assai maggiore capienza. Ne affrettiamo col desiderio la costruzione.
Ricordiamo: quando si apre un teatro si apre una scuola. Purtroppo, nell’ammannire spettacoli al pubblico che va in folla a goderseli, si è spesso lontani dalla meticolosa cautela di Orazio: Spissis indigna theatris scripta pudet recitare 20.
Diremo, dunque, più precisamente: – quando si apre un teatro, dovrebbe aprirsi una scuola. Scuola di moralità e di virtù. Hoc est in votis.
NOTE
- Storia di Empoli di LUIGI LAZZERI, Empoli, tipografia Monti, 1873, pag. 59.
- I Gelosi Impazienti scelsero come loro emblema un leone inseguito da un cervo col motto: aut cito aut numquam (o presto o mai). Il re degli animali è il seguito dell’elegante cerbiatto dalle ramose corna. « Grottesca insegna e paradossale divisa ma dalle quali anche il popolino ha saputo cavare talvolta dei significati esplicativi. » (vedasi il gustoso articolo edito da TOMASO FRACASSINI in cronaca empolese de La Nazione il 5 febbraio 1938.
- A c.16, n.121
- A cc.75-76, n.335
- A cc.73-75, n.334
- Cfr. Costituzioni dell’Accademia dell’Imperiale e Reale Teatro dei Gelosi Impazienti di Empoli approvata con Sovrano benigno Rescritto del dì 14 agosto 1838, Empoli, Bertini, 1838, prefaz. a pag. 3)
- V. Ricordi a cc. 77-79 numero 337.
- Op. cit., p.60. La epigrafe nel Lazzari ha exercitactioni per exercitationi ed un errato in animos (invece che in animis) che è stato poi riprodotto da quanti ebbero occasione di riferirla. C’è di più: il nome Ippolito si traduce correttamente in Ippolytus non Ippolythus. Il th (teta) al posto del t (tau) ci riporta ad un lithos (pietra) che qui non ha nulla a che fare. Ippolito significa: cavallo sciolto. Ippolito – è risaputo – si chiamò l’infelice figlio di Teseo con nome tratto dalla favola dei cavalli che « spaventati dal mostro mandato da Nettuno alla preghiera del Padre istigato dalla matrigna Fedra, rottò il freno, lo precipitarono e lo fecero in pezzi ». Cfr. OTTORINO PIANIGIANI Che cosa significa il mio nome? Lucca, Rocchi, 1911, pag. 149.
- A c. 64 retro, n.313.
- Il Lazzeri (op.cit., pagg.123- 124) ci dà della epigrafe una versione, a vero dire non troppo precisa e – tutto sommato – non abbastanza felice: Ad eterna memoria – degli illustri cittadini – dottore Ippolito e Pietro Neri – che al pubblico esercizio – dell’arte drammatica – ad informar rettamente i costumi – a gloria della virtù – di buon grado del proprio agli Empolesi – luogo adatto donarono – il dottor Lorenzo e Francesco – figli dello stesso Ippolito – per reverenza ed amore.
- La presa di Samminiato, c.V, 16
- Leggendo la espressione: « dall’imminente squallore rivendicata », viene fatto di ricordare, per associazione di idee, il centro di Firenze « dall’antico squallore a vita nuova restituita » di dellunghiana fattura.
- Guida di Empoli illustrata, Firenze, Tip. Domenicana, 1916, pagg.113-114
- Villa dei Neri sull’Orme, in parrocchia di S.Michele.
- Lazzerone o lazzarone è il canto che si fa accompagnando il mortorium (pel versetto Qui Lazarum resuscitasti ecc.)
- Nota 11 alla citata ottava. Pietro Neri ex abundantia cordis confida a un quaderno da appunti uno sfugo, che un giorno all’altro mi deciderò a rivelare. Nientemeno che a un certo punto, così apertis verbis, (veramente più che apertis, « secretis »: si tratta di carte destinate ad uso… domestico) non si peritò di dare del co… ne a un suo celeberrimo contemporaneo, matematico e poeta di grido, un vero luminare del Secento. Chi è curioso di saperne di più moderi la propria curiosità: a suo tempo sarà contentato.
- L’ illustre pittore e rinomato scenografo era oriundo di Empoli.
- T. Fracassini nell’articolo citato narrò l’aneddoto tuttora corrente tra i più vecchi cittadini empolesi. Dopo una recita nel Teatro di Empoli la grande Adelaide Ristori nonché Marchesa Capranica del Grillo « trovavasi festeggiatissima nel salone dei Gelosi Impazienti. Uno di essi (i vecchi l’han conosciuto benissimo) venuto via in fretta e furia da casa senza rendersi conto se il proprio abito nero a falde, fosse a posto in ogni parte, o almeno nella principale abbottonatura, mosse anch’egli con molto sussiego e largo passo verso la regina della festa: inchini, baciamano e… insolito candore che appariva e spariva dove meno si poteva credere di vederlo addosso all’accademico che attaccava il breve, ma studiato discorsetto ad onor dell’Attrice. ” Sì, tutto va bene – lo interruppe Adelaide che di sbottonature in pubblico perdonava soltanto a quelle dette alla Federici -: tutto va bene, gentile Signore, ma intanto si abbottoni…” Quadro!… sì: quadro. E fu il medesimo e malcapitato protagonista a calarvi sopra il sipario, abbottonandosi ».
- Erik Lumbroso riferì nell’Elettrico del 21-22 febbraio 1887 l’esito della memorabile esecuzione inaugurale dato da Tomaso Salvini con la Morte civile. Il Lombroso notò argutamente nel suo resoconto la « frigidità » dell’ambiente ov’era stata tenuta la cena, altrettanto memorabile, a spettacolo terminato. « Del resto – scriveva il resocontista – che prova codesta frigidità? Prova che l’Accademia non sarà mai stufa d’accogliere nelle sue stanze l’industria titolare del teatro. E come potrebbe essere altrimenti? La morte civile ha dato vita artistica a quel teatro… ». (v. T. FRACASSINI, artic.cit.)
- Ep., I, 19, 41-42. Se all’aggettivo indigna mi permetto di dare un più esteso significato, qualche lettore emunctae naris non voglia storcer la bocca.
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