NUGELLAE

 

PER LE NOZZE RAGIONIERI-LAMI

XXII Aprile 1921

Empoli, Tipografia Edisso Traversari, MCMIX

 


Emilio Mancini

Empoli nella Cerchia antica

 

 

Pietro Du Val, geografo di Luigi XIV, scrisse che il viaggio d’ Italia « è ordinariamente preferito a tutti gli altri e che tutte le nazioni sono d’ accordo nel dire, che non s’ è visto un bel paese, se non s’è visto l’Italia » (1).

Perciò anche allora i touristes percorrevano la penisola, balzando dalla sedia di posta all’albergo, di avventura in avventura, col precettore o il maestro di scherma a fianco, e il Misson o il Cochin in mano: erano tedeschi indaganti fra i ruderi esposti al sole, che fa fiorire i cedri e le viole; francesi, ammiratori dell’ alma Tellus, il più bel paese del mondo, dopo, s’ intende, la Francia; infine falangi d’ inglesi randagi, di misses freddolose, di lords stravaganti.

Viaggiavano e s’ istruivano. Non racconta Samuele Smiles che Walter Scott, viaggiando nelle pubbliche vetture, sapeva sempre cavare dai suoi compagni di viaggio qualche utile cognizione o scoprire in loro qualche tratto insolito di carattere? Viaggiando bisogna sempre cercare d’ istruirsi, disse il Dumas e l’avremmo potuto dire anche noi.

Si ha così il vantaggio di scacciare la noia, compagna quasi inseparabile dei lunghi viaggi; dall’ Itinéraire des Routes del Doutens si rileva che nel Settecento da Roma a Napoli occorrevano ventiquattro ore; da Firenze a Bologna quattordici e dieci da Firenze a Livorno. Piccole giornate e grandi spese…

 


(1) Nell’ Avertissement premesso alle Beautés de l’ Italie, Paris, Clouzier, 1673.


 

Per alleviare al forestiero le improbe fatiche delle sue lente peregrinazioni, assai per tempo si pensò di fornirlo di Guide, di Manuali, che lo rendessero un po’ agguerrito tanto contro i maestri di posta, quanto contro i ciceroni dei musei. Verso il 1700 cominciano gli Itinerarî ad arricchirsi d’ incisioni; alla metà del secolo XVIII le Guide son cresciute di numero, a scapito della loro qualità e dell’ interesse che posson presentare al ricercatore.

Spinto dal desiderio di conoscere quello che in simili pubblicazioni si diceva di Empoli, cominciai le mie modeste ricerche. Ma, scossa la polvere di molti libri, il frutto non fu troppo abbondante.

Infatti Empoli, benché di origine abbastanza antica, è andata acquistando importanza solo da pochi anni; i viaggiatori poi prendevano per lo più altre direzioni, escludendo la nostra Terra, e passando, invece, nel viaggio da Bologna a Roma, per Firenze, Siena e Viterbo; in quello da Bologna a Pisa, per Firenze, Pistoia e Lucca.

Alcuni, ben volentieri rinunziando a correre in posta, preferivano, come il Grosley, la barca per Arno, da Firenze a Pisa, benché anche per terra questo viaggio, tutto in piano, in mezzo a campagne fertilissime, fosse bello ed agevole, come è poeticamente descritto dallo Struys, a cui, nella giornata del febbraio 1656, volò lungo il tragitto il tempo, senza ch’ egli se n’ accorgesse (2).

Il Granduca Cosimo III faceva quel viaggetto in una barca dorata o in un’altra intarsiata graziosamente, in cui era raffigurata una ninfa portata in aria da un uccello (3). Ma non tutti potevano avere i comodi granducali.

Quei viaggiatori che transitavano per il nostro paese, si fermavano spesso per il solito cambio dei cavalli alle vicine poste, che erano la Lastra, l’ Osteria Nuova, la Scala, Castel del Bosco, Cascina e probabilmente allora Empoli, che è salito a oltre 7000 abitanti, e il castello di Pontorme, che ne conta ora 1500, dovevano fare quasi la stessa impressione al forestiero di passaggio, poichè si legge talvolta in certe relazioni un cenno di Pontorme, si nomina la Lastra, la Scala e si tace d’ Empoli, con scapito manifesto del mio amor proprio d’ empolese e delle mie povere ricerche.

 


(2) STRUYS JEAN, Les voyages en Moscovie, en Tartarie etc., Lyon, Rey et Plaignard, 1682, vol. I, pag. 178.

(3) Di questa barca parla il Barnabita autore dell’ inedito Journal d’un voyage en Italie, ms.VI, a c.313, citato da G. IMBERT, Vita fiorentina nel Seicento, Firenze, Bemporad, 1906.


 

Tuttavia qualche ragguaglio non manca. Ecco come ne parla il dottor Giovanni Targioni-Tozzetti ne’ suoi celebri Viaggi:

 

« La situazione d’ Empoli…. sarebbe felice quanto mai uno immaginar si possa per una grande Metropoli; in mezzo d’ una vasta, sana e fertilissima pianura, ventilata a sufficienza, circondata da fertili e deliziose colline, non troppo lontana né troppo vicina a’ monti più alti, sopra d’ un grosso fiume navigabile e non molto distante dal mare.

Certamente qualunque volta io la considero, non mi credo punto obbligato al famoso Farinata degli Uberti, perché solo a viso aperto impedì che si distruggesse Firenze e che gli abitanti si trasportassero a Empoli.

Questa trasmigrazione sarebbe senza dubbio spiaciuta ai nostri progenitori, ma per noi era desiderabilissima; poiché da quel tempo fino al presente, Empoli sarebbe divenuta una città incredibilmente più bella e più salubre di quello che sia Firenze » (4).

 

Parole da soddisfare il più accanito campanilista.

Era circa quel tempo Empoli, dopo essere stata Potesteria, Vicariato minore, con giurisdizione civile nel proprio territorio e criminale anche nella Potesteria di Cerreto-Guidi, smembrata dal Vicariato di S. Miniato. Si contavano nel distretto della sua cura 610 famiglie e 2480 anime. Vi risiedeva il Vicario con un solo notaro civile e criminale e nei giorni di mercato veniva anche il Potestà di Cerreto a dare le udienze e a ricevere gli atti (5).

Ma oltre che della posizione, da tutti indistintamente lodata, molti viaggiatori si soffermano a parlare di una caratteristica delle case empolesi.

Ecco quel che ne dice la citata Nuova Geografia, rilevando certo la notizia dal Targioni:

 

« Le abitazioni d’ Empoli sono postate basse, onde per entrare nella maggior parte di esse, si scende, dal che si conosce che la pianura all’ intorno si è alquanto rialzata ».

 


(4) Relazione d’ alcuni in diverse parti della Toscana, Firenze, 1751, t. I, pag. 52.

(5) Nuova Geografia del BUSCHING, dedicata all’ A. R. di Pietro Leopoldo, t. XV, pagina 140 (Firenze, 1774, Stecchi e Pagani).


 

Non saprei di case siffatte indicare un esempio ancora visibile presso di noi e probabilmente qui sarà il caso di ringraziare il solito piccone demolitore.

Che poi la nostra pianura si sia rialzata, starebbero a provarlo, oltre che la natura del suolo, alcune denominazioni di località vicine, come il Padule, mezzo miglio a mezzogiorno di Empoli, Pantaneto, dove è oggi il Convento dei Cappuccini; e infine il tratto che mena a Pontorme, chiamato da antichissimo tempo Naiàna, « quasi si fosse detto etimologizzava alla Varrone in un’ inedita Storia di Empoli il celebre psichiatra Vincenzo Chiarugi — il Paese delle Najadi, perchè era già facilmente, e quasi continuamente sommerso, almeno nell’ inverno (6).

Un’ altra notizia sulle case ce la fornisce ne’ suoi Viaggi Giorgio Cristoforo Martini di Langensaltz, detto il Sassone, il quale, dopo aver parlato delle origini e vicende di Empoli, aggiunge: « Ora è un piccolo paese, guarnito tuttavia di buone mura. Ha case abbastanza buone e molte botteghe di mercerie. Sopra le quali l’ altro piano della casa sporge in fuori nella strada su lunghe pietre di sostegno, che si chiaman leoni; sicché tutto il muro anteriore della casa posa in falso » (7).

Forse il viaggiatore sassone-lucchese allude a quel tipo di edifizio, quale oggi vediamo in Via del Giglio, nella casa del signor Mazzoni.

Ma più interessanti notizie apprendiamo intorno alle vecchie industrie, che fiorivano in Empoli e che ora sono per la maggior parte scomparse. Empoli possiede diverse fabbriche di maiolica, dice il Richard (8), una rinomata fabbrica di cappelli di feltro (quella di Raimondo Cannoni, che nel 1839, alla Esposizione d’ Arti e Manifatture toscane a Firenze, otteneva una Menzione onorevole), conce di cuoia, fornaci di vasi da cucina, « fatti della terra che si scava specialmente alle Cerbaiole » nota la Nuova Geografia, secondo la quale gran lavoro di stoviglie e di pentole in special modo, si faceva anche a Pontorme.

 


(6) Cfr. ms. nella nostra Biblioteca Comunale.

(7) VIERI BONGI, Empoli nella prima metà del secolo XVIII (v. Calendario art.-letterario pubbl. a benefizio del Monum. a F. Ferrucci in Empoli, 1902, pag.187)

(8) Nuovo Itinerario d’ Italia, Livorno, 1832 ; cfr. pure Description historique et critique de l’Italie par l’ abbé RICHARD, Dijon, 1766; e Guide du voyageur en Italie ou itinéraire complet de cette terre classique, par Richard, Paris, 1826.


 

Più tardi sorgeva anche l’ arte vetraria, destinata a quel mirabile sviluppo, che ora forma una delle più cospicue risorse del paese. « I vasi di vetro bianco, dice un Rapporto della Esposizione fiorentina già ricordata, retati a strie, mediante fili di smalto bianco intrecciati nell’ impasto stesso del vetro, fatti dal Signor Benigno Tuti, capo maestro alla Fornace di vetri a Empoli, ci hanno rammentato le accreditate manifatture di Murano del XVI secolo ed hanno mostrato l’abilità dell’artefice nell’ impastare i differenti vetri per questi bizzarri lavori alla veneziana » (9).

Ed ora, per non star sempre chiusi nella breve cerchia delle mura, andiamo a prendere una boccata d’ aria nella campagna, che d’ogni parte c’ invita, col suo aspetto ridente, co’ suoi ricordi gloriosi: qua Dianella, pur serena e gaia, ombreggiata com’è dai foschi filari di cipressi, Dianella, il prediletto maniero di Renato Fucini; là le salubri colline di Corniola, dove Vincenzo Salvagnoli sortì i natali e trasse sollicitae iucunda oblivia vitae; oltre l’ Orme rubesto, la villa del Cotone e Monterappoli, i cui nomi risuonano nell’insuperato ditirambo del Redi, e Pontorme, la patria d’ Iacopo Carrucci e d’ Alessandro Marchetti; per non dire che da lungi ti saluta dalla vecchia torre sveva di S. Miniato l’ ombra dantesca di Pier della Vigna; dalle pendici di Cerreto l’ombra guerrazziana d’ Isabella.

In alto, cinto da verde corona arborea, sovrano della pianura sorge il Mont’ Albano.

 


(9) Rapporto della Pubblica Esposizione dei prodotti di Arti e Manifatture toscane…. eseguita in Firenze nel mese di Settembre 1839, Firenze, Stamp. Piatti, 1839.


 

Andiamo dunque nell’aperta campagna e andiamoci nientemeno che con Michele Eyquem de Montaigne, del quale con la debita reverenza ascolteremo le precise parole. Bel pregio dei grandi farsi ascoltare anche dopo tre secoli e più !

« Andassimo una strada la più parte piana e fertile, e per tutto popolatissima di case, castellucci, villaggi quasi continui.

Attraversassimo fra le altre una bellissima terra, nominata Empoli.

Il suono di questa voce ha un non so che d’ antico. Il sito piacevolissimo.

Non ci riconobbi nessun vestigio d’ antichità, fuora che un ponte ruinato vicino sur la strada, c’ ha non so che di vecchiaia.

« Considerai tre cose: di veder la gente di queste bande lavorare chi a batter grano o acconciarlo, chi a cucire, a filare, la festa di Domenica.

(Per ragione cronologica, non si erano ancora fatti sentire i benefici effetti della legge sul riposo festivo!). La seconda, di veder questi contadini il liuto in mano, e fin alle pastorelle l’ Ariosto in bocca. Questo si vede per tutta Italia.

La terza, di veder come lasciano sul campo dieci o quindici e più giorni il grano segato, senza paura del vicino. Sul buio, giunsimo a Scala, 20 miglia, alloggiamento solo, assai buono.

Non cenai, e dormii poco, molestato d’un dolor di denti sulla destra….» (10)

 

Questo dolor di denti colse il Montaigne la sera del 2 luglio 1581; si consolin dunque le anime gentili, chè da un pezzo il viaggiatore francese ha cessato di soffrire!

Più che di trovare un ponte ruinato, sulle cui irreperibili ruine già si soffermò l’ amico dott. Corrado Masi, citando lo stesso passo del Montaigne (11), sarei felice d’ incontrare nella nostra campagna contadini col liuto in mano e più ancora leggiadre pastorelle con l’Ariosto in bocca. Più fortunata di me, una bella poetessa, Madama Du Bocage, chiamata dall’Algarotti

 

Musa dell’Arno e Ninfa della Senna,

 

scendendo nel 1757 la montagna pistoiese, fu ancora in tempo a godersi uno spettacolo degno solo del cantato e strimpellato suolo d’Arcadia.

 


(10) A, D’ ANCONA, L’Italia alla fine del sec. XVI. – Giornale del viaggio di Michele de Montaigne in Italia nel 1580 e 1581, Città di Castello, S. Lapi, 1889, pag. 471-2.

(11) Nel periodico empolese Il Ponte, 15 gennaio 1905.


 

« Qual fu il mio stupore, nel vedere quel paese abitato da Ninfe! Belle giovinette, con piccoli cappelli di paglia, ornati di fiori, di nastri, di braccialetti! L’abito delle nostre villanelle dell’ Opéra è appunto quello di coteste contadine, che mi si dice parlino così bene come si atteggiano » (12).

Prima di rivalicare le Alpi, la dama francese vide qualche altra volta Ninfe vagare per le campagne d’ Italia; e ne vide pure l’ ab. Coyer alcuni anni dopo di lei (13); il che fa dubitare che non si tratti altro che d’ un luogo comune del genere descrittivo, tanto più che nel Settecento pastori e pastorelle, zampogne e vincastri invadevano sonetti e madrigali, arazzi, ventagli e parafuochi.

Ma, rimpiangendo la spenta melodia dei villici liuti e lasciando a malincuore le pastorelle con l’ Ariosto in bocca, rientriamo dentro le mura, reduci e forse stanchi da questa scampagnata… letteraria.

Beneficata dall’ invidiabile, duplice fiorire dell’ industria e dell’ agricoltura, Empoli giustamente era detta Terra ricca e popolata, ove si trovava tutto ciò che si poteva desiderare in una città (Richard).

Ma probabilmente allora non si desiderava molto di ciò che in una città si trova: vita semplice, piccina, se si vuole, ma più tranquilla d’ ora doveva esser quella dei nostri bisnonni.

Chiusi nell’ angusta cerchia delle mura ferrucciane, all’ ombra dei due aguzzi campanili, gli Empolesi vivevano aspettando il periodico volo dell’ asino, mangiando e smerciando gl’ indigeni carciofi e ruotando, maschi e femmine in ordine inverso, intorno al famoso giro.

Le memorie di quella vita che ebbe pure i suoi palpiti e i suoi fremiti, le memorie dei nostri vecchi, del paese che ci vide nascere non potranno mai essere prive d’attrattiva per chi sente il vincolo d’affetto che ci lega al luogo nativo, « Raunando fronde sparte », raccogliendo il più possibile di notizie che si riferiscano a Empoli, si potrebbe abbozzare un quadro, che dovrebbe riuscire piacevole e interessando, chi ha gli anni dell’ esperienza e ricorda, chi sa e rintracciare le tenui vestigia di un passato, che è caro al nostro cuore, come un ricordo grato di famiglia, dia la sua mano, porga nuovi colori, nuove linee tracci, che accrescan vaghezza al quadro delle nostre memorie paesane.

Occuparsi del passato, scriveva il Gualterio, è la formula di coloro che sperano nell’ avvenire.

 

EMILIO MANCINI

 


(1) Recueil des Oeuvres de Madame Du Bocage, Lyon, chez les Frères Perisse, 1762, tome III pag.184. Cfr. inoltre l’ art. di A. D’ ANCONA, in Fanfulla della Domenica, 1882, n. 28.

(2) Voyage d’ Italie en 1763 et 1764, par l’ abbé COYER, I pag. 105. Questa e poche altre notizie ho tolto da un mio lavoro intitolato Impressioni e ricordi di stranieri nella Firenze del Settecento, di prossima pubblicazione.